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Le crociere non sono sostenibili

Una ricerca britannica sottolinea le pecche di un'industria poco eco e socio compatibile

Una ricerca britannica sottolinea le pecche di un'industria poco eco e socio compatibile

Di Marco Beaqua, 20 Novembre 2014

Nonostante le loro roboanti dichiarazioni sul tema, i colossi della crocieristica mondiale mostrano poca attenzione nei confronti dell’ambiente e delle questioni sociali. Lo rivela un recente studio della britannica Leeds Metropolitan university, secondo cui ben il 65%, delle 80 principali compagnie a livello globale, non menzionerebbe neppure la corporate social responsability (csr) all’interno dei propri siti web, mentre appena 12 brand, appartenenti ai quattro gruppi Carnival, Royal Caribbean, Tui e Disney Cruises, pubblicherebbero dei rapporti sulle proprie azioni csr. «La maggior parte delle compagnie», racconta Xavier Font, uno degli autori dello studio, «riporta semplicemente dichiarazioni generiche, come i virgolettati dei loro ceo, che sono facili da copiare e incollare, ma che, in verità, non dimostrano alcun cambiamento concreto nell’approccio alla questione sostenibilità. Si parla così di visioni e strategia, di credenziali eco, di governance e di sistemi di gestione; quasi mai, però, vengono pubblicati i dati reali sulle proprie performance in tema di compatibilità ambientale e sociale. Nessuna delle 80 società analizzate, per esempio, dice alcunché sulla sostenibilità delle risorse impiegate o sulle proprie azioni a tutela della biodiversità, mentre solo poche sono in grado di mostrare un impatto positivo, in termini sociali ed economici, sulle destinazioni toccate dalle proprie navi».
Il rapporto della Leeds Metropolitan university sottolinea, in particolare, come molto ci sia ancora da fare a proposito degli scarichi delle navi nei mari. Dal lontano 1970, l’International maritime organization ha inoltre dimostrato il rischio insito nell’utilizzo di zavorre d’acqua, in quanto potenziali veicoli di diffusione di organismi viventi al di fuori del proprio contesto naturale. Lo studio ricorda anche come altre ricerche abbiano rivelato frequenti comportamenti discriminatori nei confronti di gruppi di lavoratori svantaggiati, ai quali sarebbe stato richiesto il pagamento di controlli medici, pratiche amministrative onerose e costi di trasporto tali da porli in una chiara situazione di sudditanza economica.
Pochi dati pubblici sono infine oggi in grado di confermare gli eventuali effetti benefici che l’industria delle crociere apporterebbe alle destinazioni toccate dai propri itinerari, in termini di posti di lavoro creati e di contributi allo sviluppo delle economie locali. Se si analizzano i costi connessi con l’impatto legato all’accoglienza della navi, il tradizionale passeggero low cost è infatti da considerarsi quasi completamente improduttivo. E limitati sono anche i ricavi garantiti alle imprese del territorio dalla catena dei rifornimenti, in quanto le normative della crocieristica richiedono procedure particolarmente complesse e troppo ingenti quantità di materiali. Pronta la reazione della divisione britannica della Cruise lines international association, che ha definito la ricerca dell’università di Leeds piena di crepe, limitandosi tuttavia a generiche dichiarazioni, senza fornire, ancora una volta, dati e cifre concrete.

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