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Le cinque domande decisive

Così si valutano capacità di analisi e sincerità dei candidati

Così si valutano capacità di analisi e sincerità dei candidati

Di Marco Bosco, 30 Agosto 2012

Sono cinque i quesiti chiave che determinano l’esito di un colloquio di lavoro. Li avrebbe individuati la società di recruiting Robert Half, attraverso un sondaggio tra 650 manager. Si tratta di domande semplici, dal tono spesso colloquiale, apparentemente di importanza relativa, che parrebbero essere poste sul tavolo solo per mettere a proprio agio il candidato, ma che in realtà rivestono frequentemente una valenza fondamentale al fine di determinare il risultato finale della selezione. Si va dal classico «Mi parli brevemente di lei» al «Dove si vede tra cinque anni?», passando anche per l’indagine delle motivazioni alla base della propria candidatura.
«Sembrano domande banali, ma farsi trovare impreparati può compromettere l’andamento del colloquio», spiega infatti Erika Perez, associate director Robert Half. «L’intervistatore, in pratica, usa le domande generiche per sondare alcune abilità dei candidati che è difficile indagare direttamente, come, per esempio, la capacità di analisi, l’attitudine alla sincerità, l’ambizione». Ma ecco, nel dettaglio, i cinque quesiti decisivi, con i relativi suggerimenti su come ogni candidato dovrebbe o non dovrebbe comportarsi:

«Mi parli brevemente di sé».
Cosa fare: rispondere prontamente, facendo un riassunto incisivo della propria carriera professionale. Frasi concise ma dettagliate, che descrivono esperienze maturate e risultati ottenuti, in modo da far capire rapidamente che cosa si è in grado di offrire.
Cosa non fare: parlare della propria vita privata e dei propri hobby.

«Perché vorrebbe lavorare per la nostra società?»
Cosa fare: presentarsi al colloquio con una conoscenza approfondita della società, informandosi sul sito aziendale e tramite la documentazione commerciale.
Cosa non fare: rispondere sulla base delle proprie esigenze finanziarie, sottolineando di essere attratti dallo stipendio e dai benefit offerti.

«Qual è il suo principale punto debole?»
Cosa fare: essere sinceri e consapevoli, dimostrando la propria abilità nella risoluzione dei problemi.
Cosa non fare: menzionare un difetto evidentemente falso, oppure far finta di essere perfetti. Altrettanto errato è, naturalmente, enumerare una serie infinita di difetti.

«Dove vede se stesso tra cinque anni?»
Cosa fare: è bene cercare di apparire ambiziosi pur mantenendo un atteggiamento di realismo. Si può citare il desiderio di crescere professionalmente, oppure sottolineare il desiderio continuo di apprendere.
Cosa non fare: focalizzarsi su un obiettivo eccessivamente elevato o che realisticamente non sarà conseguibile in cinque anni. Evitare anche sogni e desideri più o meno suggestivi.

«Perché desidera lasciare la società per la quale sta attualmente lavorando?»
Cosa fare: ribadire ciò che piace del ruolo anziché lamentarsi del lavoro che si intende lasciare. Sottolineare che si desidera cogliere una grande opportunità e non fuggire da una situazione spiacevole, esibendo una mentalità positiva predisposta al lavoro di squadra.
Cosa non fare: parlare male dell’attuale datore di lavoro e mostrarsi amareggiati o risentiti.

Il curriculum tradizionale è ancora lo strumento più importante

I social network non sfondano come strumenti di ricerca del personale. Almeno non del tutto e non per il momento. Nonostante il fascino che gli strumenti 2.0 esercitano su un pubblico sempre più vasto di utenti, e il proliferare di vademecum sul modo di gestire al meglio la propria immagine online, pare proprio infatti che, per ora, il buon vecchio curriculum sia ancora un mezzo insostituibile per trovare lavoro. Ma attenzione: nel prossimo futuro le cose potrebbero cambiare. E anche molto rapidamente. Lo rivela un’altra recente indagine Robert Half, che ha intervistato 100 direttori risorse umane di aziende italiane. Ebbene, il 59% degli interpellati ha sostenuto che Facebook e LinkedIn non sono efficaci come strumenti di ricerca del personale, contro il 22% di favorevoli e un 19% che non prende posizione. Il 47% del campione ha poi dichiarato di non utilizzare per nulla i social network, nemmeno per verificare sul web le caratteristiche dei candidati. Tra coloro che utilizzerebbero il web 2.0 in maniera attiva, invece, il 12% se ne servirebbe per cercare i profili desiderati, il 10% per controllare che i comportamenti adottati online siano coerenti con quanto riportato nel curriculum vitae, il 6% per comunicare con i candidati via Facebook o LinkedIn e il 3% per cercare referenze.
Ma, con il tempo, hanno chiesto i ricercatori, i social network sono destinati a soppiantare il curriculum? Disaccordo perfetto tra i manager: il 50% ha risposto «probabilmente sì» e l’altra metà «probabilmente no». «Dal punto di vista pratico, appare evidente che la massima efficacia si ottiene utilizzando sia il vecchio cv, sia il proprio profilo sul web, facendo molta attenzione che ci sia sempre coerenza tra i due strumenti», spiega Carlo Caporale, associate director di Robert Half. «I direttori del personale, in fase di avvio della ricerca, preferiscono infatti il curriculum tradizionale, mentre non disdegnano il web come strumento di verifica e selezione delle candidature raccolte».

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