Come abbiamo più volte raccontato anche noi negli ultimi mesi, i cambiamenti nel mercato del lavoro indotti dalla pandemia hanno portato chi si occupa di risorse umane a reinterpretare la mappa del sentiment legato a come al lavoro si sta e ci si sente. E sono nati, negli ultimi due anni, una serie di nuovi termini ed espressioni che queste nuove sensibilità – spesso non troppo positive – provano a descriverle e a raccontarle. Al netto degli hashtag virali e dei trending topic, dalle great resignation al quite quitting passando per il quite thriving fino al climate quitting , le parole fanno il loro lavoro: intercettare il cambiamento e dargli realtà secondo la vecchia regola del: “Se una cosa ha un nome, esiste”. Ed ecco, allora, che questo è il momento dei “grumpy stayers“, gli scontrosi, coloro che rimangono al lavoro, ma lo fanno covando un senso di rabbia e frustrazione che danneggia loro, il clima aziendale e la produttività.
Chi sono i grumpy stayers
Come ben racconta un articolo di “Business Insider” a proposito del mercato del lavoro americano – dal quale arrivano gran parte delle tendenze che poi, adattandosi al contesto, prendono forma anche da noi – i grumpy stayers sono spesso lavoratori che hanno sfruttato la dinamicità post-pandemia per cambiare lavoro sperando di migliorare la propria posizione sotto il profilo economico e della soddisfazione personale e che invece sono rimasti delusi. Oppure, sono quelli che sono rimasti dove erano – magari assistendo all’esodo dei colleghi che sono andati via -, che provano scontentezza e frustrazione e che, ora che il mercato del lavoro si è in qualche modo “raffreddato”, hanno rinunciato alla possibilità di un cambiamento.
La chiave della formazione e del reskilling
Un aspetto che caratterizza i grumpy stayers – sottolinea l’articolo – è che sono sì “scontrosi”, ma vorrebbero non esserlo. Sono, piuttosto, insoddisfatti. Cosa vorrebbero? Essere maggiormente coinvolti, vedere che l’azienda punta su di loro e la loro crescita professionale piuttosto che continuare ad assumere altre persone da fuori.
Ancora una volta, dunque, anche di fronte ai grumpy stayers – come era stato per i quite quitters e gli altri – le soluzioni che le aziende possono mettere in campo passano da quegli elementi che la pandemia dovrebbe aver insegnato a non trascurare: ascolto, coinvolgimento, formazione e reskilling.
Comments are closed