«Otto anni fa arrivai quasi per caso in un borgo semi abbandonato della terra d’Abruzzo. Il suo nome è S. Stefano di Sessanio (Aq) e io mi ero perso per le vie sterrate intorno alla Rocca di Calascio. Nell’antico centro incastellato e lambito da un piccolo lago, così come nel paesaggio agrario circostante, non vi era segno alcuno del ventesimo secolo: non vi erano palazzine in cemento, non capannoni artigianali o industriali. Non vi erano nemmeno le consuete villette a schiera in stile tirolese, tanto caratteristiche dello sviluppo turistico anni ’70 dei borghi storici abruzzesi. Tutto si era fermato come al tempo antico. Venni folgorato sulla via di Damasco: erano anni che cercavo luoghi dove il paesaggio non fosse stato sacrificato a un concetto di sviluppo un po’ vecchio e troppo invasivo. Andai, così, dal mio commercialista e gli spiegai le potenzialità di questo borgo. Costui mi consigliò di compiere prima un’indagine di mercato e di verificare una serie di parametri a cui l’investimento avrebbe dovuto aderire. A quel punto, seconda folgorazione, lasciai le indagini di mercato alle fantasie del commercialista e trascorsi settimane a vagare attraverso il territorio per vivere, partecipare, comprendere, soffrire del fascino arcano di questa terra. Iniziai, in questo modo, ad approfondire un progetto che potesse rendere conto, in profondità, della sua identità». Così il titolare della Sextantio, società che gestisce l’omonimo albergo diffuso di S. Stefano di Sessanio, Daniele Kihlgren. Sono sue, infatti, le uniche parole in grado di spiegare le modalità di un progetto visionario, in cui all’inizio pochi credevano e che oggi, invece, è considerato un esperimento pionieristico di una nuova formula ricettiva dal successo crescente.
«All’inizio, in effetti, abbiamo incontrato molte difficoltà a trovare qualcuno che credesse nella nostra idea», prosegue Kihlgren. «Ora, però, grazie alle nostre accurate politiche di tutela dell’ambiente, in termini sia umani sia paesaggistici, siamo diventati un punto di riferimento per tutti coloro che intendono valorizzare antichi centri abitati ancora intatti nella loro anima originaria. Nell’ultimo periodo abbiamo ricevuto circa 50 richieste per interventi simili a quello di S. Stefano, molte delle quali provenienti da enti territoriali che prima ci guardavano con sospetto. Abbiamo così deciso di acquisire a vario titoli alcuni edifici situati in sette diversi borghi dalle caratteristiche simili a S. Stefano e, nei prossimi anni, abbiamo intenzione di realizzare un vero e proprio circuito di alberghi diffusi».
Le nuove destinazioni sono tutte concentrate in Abruzzo, con la notevole eccezione di una concessione situata all’interno dei celeberrimi Sassi di Matera. Ma qual è il segreto del successo di un progetto così visionario? «La passione per la tutela ambientale, prima di tutto, unita naturalmente a un approccio manageriale alla materia», racconta Kihlgren. «Molto importanti sono stati, poi, gli accordi che abbiamo stretto con gli enti territoriali locali, il comune di S. Stefano e il parco nazionale del Gran Sasso, per la conservazione del borgo storico, del paesaggio circostante e, soprattutto, dell’identità territoriale. Per quanto ci riguarda, in particolare, ci siamo imposti di conservare le destinazioni d’uso dell’originaria organizzazione domestica, di occultare gli impianti e di utilizzare esclusivamente materiale architettonico di recupero, nonché arredamenti poveri della montagna abruzzese». Il risultato? La definizione di un nuovo modello di sviluppo che, per una volta, fa riferimento alle identità locali, non più considerate un fardello da rimuovere, ma il punto di forza per una ridestinazione di qualità del territorio. Un progetto che ha portato a un incremento logaritmico del numero e del fatturato di tutte le singole attività private locali e alla rivalutazione esponenziale del valore degli edifici. «Sono molti i viaggiatori che sono attirati dalla nostra proposta», conclude Kihlgren. «Spesso i nostri ospiti sono turisti internazionali, che vengono da noi alla ricerca di una primitiva verginità: dopo molti anni trascorsi tra Umbria e Toscana, si sono stancati dell’irreversibile chiantishirizzazione di molti di quei territori».
Il borgo in breve
Santo Stefano di Sessanio è un borgo fortificato, edificato tra le montagne abruzzesi a oltre 1.250 metri d’altitudine e situato all’interno del parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. L’attuale configurazione urbana del luogo risale al pieno Medioevo, a seguito di quel fenomeno comunemente conosciuto con il nome di incastellamento. Nacque allora quel paesaggio insediativo, caratterizzato da abitati d’altura circondati da un perimetro murario fortificato, che resta ancora oggi uno degli elementi paesaggistici maggiormente legati all’immaginario del territorio italiano.
Le intensive urbanizzazioni del secolo appena trascorso e ristrutturazioni poco attente ai patrimoni originari hanno però compromesso quasi ovunque l’integrità del territorio e del costruito storico. Tale integrità si è tuttavia conservata proprio in alcuni borghi residuali della montagna appenninica. E ciò, paradossalmente, a causa del loro spopolamento, nel più generale contesto di un recente passato segnato dai noti fenomeni di depauperamento del meridione, abbandono della montagna ed emigrazione delle sue genti.
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