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La soglia del miliardo è vicina

Studio Ey: Il 2016 si appresta a diventare un anno record per le transazioni alberghiere italiane

Studio Ey: Il 2016 si appresta a diventare un anno record per le transazioni alberghiere italiane

Di Massimiliano Sarti, 10 Novembre 2016

Un po’ per meriti propri è un po’ grazie a contingenze esterne, il mercato del real estate alberghiero italiano lancia segnali di decisa ripresa e si appresta a tagliare il traguardo record del miliardo di euro entro fine anno: una soglia mai raggiunta prima, solo sfiorata nel lontano 2006, quando il mondo era decisamente un’altra cosa e la Grande crisi innescata dal collasso Lehman Brothers neppure immaginabile. In questi primi nove mesi dell’anno, il valore totale delle transazioni di beni immobili alberghieri nella Penisola ha infatti raggiunto quota 770 milioni di euro, quasi superando i volumi totali dell’intero 2015, quando gli investimenti nel real estate dell’ospitalità avevano già chiuso a 795 milioni, salendo di ben il 47% rispetto all’anno precedente.
E la situazione, stando a un recente studio Ey presentato in collaborazione con Confindustria Alberghi, sarebbe destinata a migliorare ulteriormente: «Fino a pochissimo tempo fa, gli investitori cercavano soprattutto trophy asset in location primarie. Si trattava, nella stragrande maggioranza dei casi, di fondi sovrani oppure di individui con patrimoni sopra ai sei zeri (i cosiddetti “high net worth individuals”), quasi tutti di origine internazionale. Mi basti dire, a questo proposito, che ben il 79% delle transazioni 2015 ha avuto come protagonista capitali stranieri», racconta l’head of hospitality della società di consulenza, Marco Zalamena.
Ora invece le cose stanno cambiando: il mercato italiano del real estate alberghiero si sta facendo più liquido e sta aumentando in generale il suo appeal per ogni tipologia di buyer. Cresce in particolare l’interesse dei cosiddetti «value add investors», ossia dei fondi speculativi e dei private equity alla ricerca di immobili a prezzi competitivi, da riqualificare e rivendere in tre – cinque anni per ritorni attesi in doppia cifra percentuale.
Ma soprattutto aumenta l’attenzione degli investitori core (casse di previdenza, fondi pensione e di investimento quasi sempre con orizzonti d’impiego decisamente lunghi e portafogli piuttosto diversificati), nonché degli operatori alberghieri, in particolare di quelli nazionali: Valtur e Starhotels, per esempio, sono recentemente tornati a muoversi pro-attivamente nella Penisola.
A far da traino a questa rinnovata popolarità della destinazione Italia, come si diceva, una serie di fattori concomitanti: «Da una parte il paese appare oggi senz’altro più stabile rispetto al recente passato, mentre le performance del settore alberghiero si mantengono su livelli più che buoni, se non ottimi», riprende Zalamena. «Da un altro canto i rendimenti attesi in molte altre parti d’Europa, dove il ciclo economico è più avanzato, si stanno contraendo a ritmi più veloci che in Italia, spingendo i capitali a ricercare nuove opportunità e nuovi target nel nostro paese». Ad aiutare contribuiscono peraltro anche i bassi tassi d’interesse, che rendono naturalmente più appetibile la leva finanziaria.
E poi ci sono le contingenze esogene. L’effetto Brexit per esempio: nel Regno Unito, tradizionalmente il mercato immobiliare più attivo d’Europa, il primo semestre dell’anno ha visto una contrazione di circa il 75% dei valori delle transazioni alberghiere, che si stanno solo ora un po’ riprendendo grazie alla svalutazione della sterlina, rivela sempre Zalamena. Allo stesso tempo la Francia sta scontando un momento di difficoltà dovuto principalmente all’effetto dei recenti attacchi terroristici, mentre la Spagna, conclusosi lo stock degli immobili compresi nei portafogli dei cosiddetti prestiti non performanti (i non performing loans o Npl, che tanti mal di pancia stanno facendo venire anche a molte nostre banche, ndr), è oggi un po’ meno appetibile di quanto lo fosse solo pochi mesi fa. «I capitali si sono perciò spostati prima sulla Germania e più recentemente sull’Italia», sottolinea l’head of hospitality Ey.
Ma il fermento non riguarda unicamente gli investitori internazionali: ancora i bassi tassi di interesse e una certa carenza di alternative di impiego dei capitali sta oggi spingendo alcuni gestori di patrimoni privati italiani (i cosiddetti family office) a guardare con accresciuto interesse al settore dell’ospitalità. E questo dovrebbe contribuire a spingere anche le destinazioni secondarie, che questa tipologia di investitori conosce sicuramente meglio e con cui si trova certamente a proprio agio. D’altronde il mercato italiano possiede una peculiarità tutta sua: la presenza di un numero consistente di destinazioni appetibili, che non si esaurisce unicamente nel quadrilatero Roma, Milano, Firenze, Venezia, ma comprende anche numerose location leisure di prestigio, come per esempio Capri, la Costiera Amalfitana, la Costa Smeralda…
A trainare la voglia d’Italia tra i player internazionali è pero oggi soprattutto il capoluogo lombardo, che anche grazie all’effetto Expo e alla sua riscoperta in chiave leisure sta godendo di una popolarità mai prima sperimentata: «Ci sono arrivate richieste di consulenza da parte di investitori stranieri con focus esclusivo su Milano: non era mai successo in passato», sottolinea sempre Zalamena. Qui i capitali sarebbero in particolare attirati dai numerosi progetti in corso realitivi a conversioni di edifici a uso ufficio.
Ciò detto, è ovvio che le criticità non possano essere sparite improvvisamente: nonostante i cambiamenti in atto, il nostro mercato all’estero è ancora sicuramente percepito come relativamente illiquido. Ma questo è spesso legato a un fattore strutturale dell’offerta, piuttosto che a una reale indisponibilità di capitale. Il punto, secondo l’head of hospitality Ey, è che gli investitori internazionali lavorano quasi sempre su operazioni del valore superiore ai 100 milioni di euro, possibilmente spalmati su più strutture. Data però la natura particolarmente frammentata del nostro mercato, il tempo necessario a raccogliere un portafoglio di questa portata è notevolmente superiore a quello necessario per fare la stessa cosa in altri paesi. «Lo dimostra bene il fatto che normalmente il numero di transazioni gestite in Italia non sia poi tanto dissimile da quanto si registra in Francia, anche se Oltralpe i valori delle compravendite complessive annue sono tradizionalmente quasi doppi».
E poi c’è l’immagine di un’Italia in cui i valori immobiliari sono spesso sopravvalutati: «Anche in questo caso, tuttavia, stiamo assistendo a un certo riallineamento con il resto d’Europa e alla diffusione di una maggiore consapevolezza tra i proprietari», aggiunge Zalamena. «Certo, c’è poi da dire che la maggior parte delle transazioni internazionali si svolge tra istituzioni finanziarie, le quali ragionano su strategie di investimento proprie e spesso dotate di una certa rigidità regolamentata. Il mercato italiano è invece caratterizzato da molti proprietari privati, che possono e sono disposti a resistere su posizioni difficili decisamente più a lungo di un fondo arrivato al termine del proprio ciclo di investimento».
Un discorso a parte meritano infine i cosiddetti Npl: se da una parte infatti le banche nazionali stanno oggi posizionando sul mercato diversi portafogli dedicati, è anche vero, da un altro canto, che pochi di loro contengono strutture alberghiere di qualità. Non solo: in questi anni ci si è aspettati a lungo la messa in vendita di una consistente mole di distressed asset dell’ospitalità. Le performance nel complesso consistenti e sostenute di numerose destinazioni nazionali hanno tuttavia fin qui garantito marginalità operative adeguate, consentendo in questo modo di «sostenere anche il valore degli immobili sottostanti», conclude Zalamena.

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