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La sfida del recruiting alberghiero

Dall'edizione di Verona di TFP Summit dello scorso settembre, le voci dei responsabili delle risorse umane sull’andamento del recruiting tra criticità, nuove dinamiche e opportunità per chi cerca lavoro nel settore dell’ospitalità

Dall'edizione di Verona di TFP Summit dello scorso settembre, le voci dei responsabili delle risorse umane su

Di Job in Tourism, 6 Ottobre 2023

Sfidante e complesso: continua a essere questo lo stato del recruiting nel settore alberghiero che, archiviata una buona estate sul fronte delle presenze turistiche, si trova invece a fare i conti con un mercato del lavoro che fatica a trovare un nuovo equilibrio dopo lo scossone della pandemia. La conferma arriva dai responsabili HR degli hotel, dei gruppi alberghieri e delle agenzie interinali che lo scorso 20 settembre hanno partecipato a Verona all’edizione d’autunno di TFP Summit – Turismo Professioni Formazione, la job fair dell’ospitalità e del turismo organizzata da Job in Tourism. Li abbiamo intervistati durante la manifestazione ed ecco il quadro – fatto di dinamiche, criticità e opportunità pressoché condivise – che hanno tratteggiato per noi nell’approfondimento sul magazine di questa settimana (scaricabile a questo link).

Il mercato del lavoro post-pandemia: tante richieste, candidati “esigenti”

“Sono anni sfidanti – è la premessa di Sabrina Ligi, HR Manager Italy & Hungary di Leonardo Hotels –. Continua a essere difficile inserire personale perché, anche a fronte di colloqui che vanno a buon fine e terminano con l’inserimento in hotel, tante risorse decidono poi di andare via, anche solamente dopo pochi giorni di lavoro. Di fatto, la ricerca è continua perché il turnover è molto alto”. La “sfida” riguarda, soprattutto, il mercato dei candidati, “che è sempre più difficile”, analizza Nicole Franchini, Search and Selection Specialist della filiale di Verona di Gi Group. Stabilità economica e dei contratti, meno disponibilità a spostarsi e un work-life balance basato su un’organizzazione più morbida della turnistica e degli orari sono gli aspetti sui quali “sono ormai i candidati a scegliere l’azienda, anche prediligendo realtà più piccole a scapito dei grandi nomi pur di ottenere maggior stabilità e benessere”, in una dinamica di reclutamento a parti invertite rispetto a quanto accadeva prima della pandemia.

Il “buco” generazionale

Il primo nodo sul quale il recruiting nel settore continua a incepparsi è, dunque, proprio questo: “Da una parte tanta richiesta di personale, dall’altra candidati sempre più esigenti – osserva Marta Martino, Delivery Coordinator Horeca di Lavoro Più –. È come se oggi, soprattutto i candidati giovani, fossero più decisi e avessero più consapevolezza delle proprie potenzialità e di ciò che possono contrattare con le aziende”. Da questo punto di vista, la questione è in gran parte generazionale, con il “buco” principale di personale che non si trova concentrato nella fascia fino a 35/40 anni – che risulta essere meno flessibile – e una risposta maggior alle offerte di lavoro da parte, invece, di profili senior con maggior esperienza. Una dinamica che, tuttavia, non sempre risponde alle necessità delle strutture ricettive che – confermano le agenzie interinali – cercano in via preferenziale personale giovane da poter formare in base alle proprie esigenze.

Il mismatch di competenze

“Con la pandemia – nota infatti Emilio Di Lorenzo, HR Manager di Eight Hotels – la chiusura di molte strutture ha reso disponibili sul mercato figure con anni di esperienza alle spalle provenienti soprattutto dagli hotel di fascia media che, tuttavia, in molti casi non hanno la sensibilità e la preparazione adeguata per quanto richiesto, per esempio, nelle strutture luxury”. Una situazione – conferma Mattia Ronco, Human Resources Manager di Lungolivigno Hotel&Fashion – che si può osservare anche nel mercato stagionale “nel quale il continuo turnover non favorisce lo sviluppo e il consolidamento delle competenze professionali anche di chi conta, ormai, già molti anni di lavoro”.

Ecco, dunque, il secondo nodo: quello del mismatch di competenze, il mancato allineamento tra quanto chiedono gli hotel e la preparazione dei candidati. Questione anagrafica a parte, infatti, l’osservazione condivisa è quella di un generale abbassamento del livello di preparazione. È uno dei motivi per i quali, nel fare selezione, le aziende guardano in questa fase più all’attitudine e all’approccio al lavoro che alle conoscenze tecnichelingue straniere a parte, che continuano a essere l’unico vero prerequisito fondamentale per lavorare in hotel (e che pure spesso si fatica a individuare a un livello adeguato). “Più che il curriculum, io cerco la persona – racconta Di Lorenzo – con determinate caratteristiche: un atteggiamento smart, voglia di imparare, apertura mentale”. Ed è su questo profilo, delineato guardando alle skills soft più che a quelle hard, che la maggior parte delle strutture ricettive si indirizza decidendo di investire sulla formazione in house per colmare le eventuali lacune operative. Ma non solo.

Una questione di attrattività

Se, infatti, sono soprattutto i candidati a scegliere le aziende nelle quali lavorare, si conferma per gli alberghi la necessità di investire su quanto può renderli maggiormente attrattivi sul mercato, sia in termini di employer branding che di offerta di pacchetti welfare, servizi e, appunto, formazione.

C’è chi, come come il Falkensteiner Resort Capo Boi punta sul benessere del personale, a partire dagli aspetti più concreti, come gli alloggi: “Abbiamo investito in una nuova staff house per garantire un livello abitativo adeguato – spiega il General Manager, Nicola Serra –. Oggi creare condizioni di lavoro ideali per il team è fondamentale: le persone hanno bisogno di sentirsi parte di un progetto condiviso, è questo che motiva e dà soddisfazione”.

In casa Europlan, invece, quest’anno hanno “rimpolpato” le squadre perché anche il personale stagionale potesse usufruire di turni con più giorni liberi “ed è stato molto apprezzato – dice la Responsabile Risorse Umane, Giorgia Ferrazzini –. La sfida maggiore oggi – osserva – è quella organizzativa: dobbiamo capire noi aziende per prime che il contesto è diverso ed essere disposte a cambiare modello”.

Quello che sta facendo Terme di Sirmione: “I candidati sono meno flessibili, non vogliono turni spezzati o lavorare di sera – spiega Marilena Sartori, Area Selezione del Gruppo –. Stiamo quindi lavorando su formule di orari misti che vadano incontro a questa esigenza così come, rispetto alla richiesta di una maggior stabilità, incentiviamo il tempo indeterminato con la possibilità di lavorare su una stagione lunga di 10/11 mesi”.

Recruiting sempre aperto

Spesso, tuttavia, gli incentivi non bastano e, a fronte di un turnover che tutti raccontano essere sempre molto alto e scandito da ritmi veloci, il candidato giusto lo si trova anche battendo gli altri sul tempo: che si tratti o meno di strutture stagionali e qualunque sia il livello – raccontano i selezionatori – oggi il recruiting alberghiero prosegue tutto l’anno ed è sempre più impostato su modalità snelle e tempi rapidi, proprio per non lasciarsi sfuggire i talenti più appetibili.

Il nodo “giovani”

Il San Clemente Palace Kempinski – Venice, per esempio, ha già aperte le selezioni per la prossima stagione mentre quella in corso ancora deve chiudersi. Qui, però, racconta Carlotta Vazzoler, HR Strategic Manager, si sta provando a percorrere anche un’altra strada, quella del rapporto diretto con le scuole, con l’hotel che entra negli istituti alberghieri per fare formazione offrendo ai ragazzi strumenti più in linea con quanto richiesto dal mercato e, al contempo, avendo la possibilità di fare scouting dei talenti migliori. Un investimento sul futuro perché – sottolinea Vazzoler – “i ragazzi che hanno voglia di lavorare nell’ospitalità ci sono, ma bisogna creare un canale di comunicazione basato sulla fiducia perché possano rendersi conto in prima persona che lavorare in hotel può essere difficile, ma dà anche grandi soddisfazioni”.

In effetti, quello dell’attrattività del settore verso i più giovani rimane – a detta di tutti – il problema di fondo di questo periodo, soprattutto guardando al futuro: “Purtroppo, in Italia manca un soggetto che aiuti i ragazzi a leggere come evolverà il mondo del lavoro tra 10/15 anni e che ne indirizzi di conseguenza la formazione”, è il punto di vista di Giorgio Pagnotta, Senior HR Business Partner di Da Vittorio. “Senza una consapevolezza di questo genere è chiaro che la risposta immediata dei giovani alle difficoltà sia l’indisponibilità a lavorare la sera piuttosto che il week-end. Il rischio che corriamo, però, è perdere competitività e quell’italianità dell’accoglienza che è nel nostro DNA”.

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