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La ricetta di KIS Management

Organizzazione, competenze e qualità del clima aziendale: ecco come ti “cucino” un f&b alberghiero di successo

Organizzazione, competenze e qualità del clima aziendale: ecco come ti “cucino” un f&b alberghiero di su

Di Silvia De Bernardin, 20 Novembre 2022

Tornare a essere “sexy” puntando sulla qualità degli ambienti di lavoro. Ripensare l’organizzazione interna senza perdere di vista food cost, comunicazione commerciale e sostenibilità. Iniziare a guardare alle competenze di sala e cucina in maniera più complessa per essere davvero competitivi. Sono gli “ingredienti” della ricetta del food&beverage alberghiero (di successo) sperimentata da KIS Management, società specializzata nella gestione della ristorazione nel settore hospitality. Fondata nel 2017 da Sergio Legrenzi e Stefano Pierotto, KIS Management conta oggi 15 tra ristoranti tradizionali e in hotel, 300 collaboratori tra dipendenti e stagionali e un giro d’affari da 8 milioni di euro (a +60% sul 2019). Numeri generati da un approccio che punta a essere innovativo nel mondo della ristorazione alberghiera, come ci racconta in questa intervista l’amministratore delegato Legrenzi.

Domanda. Far sì che l’f&b sia attività profittevole per l’hotel è sempre stata questione complessa, oggi con più che mai con gli aumenti di materie prime ed energia. C’è una ricetta vincente?
Risposta. Ci sono alcuni ingredienti, per noi indispensabili, per poterla rendere profittevole. Alcuni dipendono dalla struttura alberghiera e dalla location – e su questi poco si può fare – ma altri dipendono dalla gestione, tenendo conto che nella ristorazione i margini sono da sempre più bassi rispetto alle camere. Innanzitutto, le materie prime, la cui incidenza può andare dal 25 al 40% in base a come è studiato un piatto, a come si organizzano gli acquisti e a come si riducono al massimo gli sprechi: tre temi fondamentali perché ridurre l’incidenza food vuol dire avere più margine poi. L’altro tema fondamentale è l’organizzazione, in cucina, nell’allestimento delle colazioni, nell’erogazione della ristorazione e nel servizio di banqueting sia privato che aziendale (una voce fondamentale per la redditività della ristorazione alberghiera). L’ultimo ingrediente è l’attività commerciale, che spesso viene sottovalutata e può essere complicata per chi gestisce un albergo perché deve essere studiata in maniera specifica.

D. In che modo?
R. C’è una parte commerciale da portare avanti all’interno della struttura alberghiera, che è la prima da presidiare. Spesso – e lo vediamo chiaramente sul segmento MICE – c’è un problema di comunicazione dell’offerta di ristorazione, che viene inserita nelle proposte in maniera “trasparente”, senza alcuna valorizzazione. Avere un banqueting folder strutturato e con la grafica giusta come per la ristorazione individuale, invece, aumenta immediatamente le vendite del food&beverage. C’è poi l’apertura alla clientela esterna. Su alcuni hotel, dove la location lo permette, i nostri commerciali lavorano, per esempio, per vendere spazi individuali, anche attraverso piattaforme come The Fork o Open Table, che su alcune piazze funzionano molto bene. C’è la comunicazione che passa dai social e dalla partecipazione alle fiere di settore fino alla promozione legata agli eventi delle associazioni. Tutte potenzialità che possono essere presidiate con profitto.

D. Insomma, c’è molto da fare…
R. Sono indispensabili competenze specifiche senza le quali questi tre ingredienti insieme non funzionano. Pensiamo, per esempio, all’elaborazione di un menu: bisogna conoscere i propri clienti e le loro aspettative per sapere costruire una proposta che sia attrattiva, ma anche sostenibile come costi diretti di food e come organizzazione. Un esempio: se ho un piatto che richiede un certo numero di guarnizioni per le quali ho bisogno di più minuti di lavorazione e ho una cucina nella quale ci stanno fisicamente solo due cuochi, con una sala da cinquanta coperti, quel piatto rischia di non funzionare perché l’organizzazione non è sostenibile. E per valutare tutti questi aspetti serve una competenza di dettaglio.

D. Una competenza che c’è oggi negli hotel?
R. Ci sono alcune competenze, che però vanno messe insieme ad altre. Spesso chi gestisce l’albergo difficilmente le ha, a meno che non si tratti di direttori che vengono dall’f&b – e in Italia difficilmente accade perché è più facile che i direttori arrivino dal sales o dal marketing o dal ricevimento. Per quanto riguarda lo staff, è difficile immagine che uno chef o un maître, per quanto bravi, possano avere tutte queste competenze messe insieme e il tempo per curare ogni aspetto: occuparsi degli acquisti e della scelta dei fornitori migliori, fare i test sui piatti, capire il costo food (e quello legato agli sprechi), fare un’analisi marketing per elaborare un menu che vada incontro alle aspettative dei clienti e che sia sostenibile rispetto all’intera gestione alberghiera. Da questo punto di vista, un’organizzazione più strutturata come la nostra può rappresentare un vantaggio competitivo.

D. In che termini?
R. Rispetto alla possibilità di sollevare gli operativi da tutta una serie di passaggi non strettamente legati alle loro competenze specifiche. Pensiamo a un cuoco bravissimo in cucina ma meno forte sull’organizzazione: possiamo affiancarlo per supportarlo e aiutarlo a crescere in questo aspetto e, al contempo, mutuare da lui competenze da trasferire ad altri colleghi. Alle aziende alberghiere più strutturate, poi, riusciamo a garantire una continuità del servizio fondamentale in un momento nel quale il turn over nei singoli alberghi è molto ampio.
D. A proposito di turn over, quali sono gli errori che, soprattutto in questa fase, il ristorante dovrebbe evitare per non perdere personale e, anzi, essere attrattivo?
R. Un punto fondamentale è la qualità degli ambienti di lavoro, delle relazioni e dell’organizzazione. Noi stiamo constatando che lì dove riusciamo ad avere un’organizzazione più efficiente e chiara, le persone si sentono più supportate nei loro bisogni e nell’affrontare quotidianamente i problemi con i clienti. Dove non c’è caccia all’errore o alla brutta recensione, ma tutto è impostato in modo più sereno e collaborativo, cambiano molte cose. La ristorazione è passata dall’essere, qualche anno fa, il settore più “sexy” nel quale lavorare a quello con la peggior reputazione di sfruttamento. Io sono certo che torneremo a essere attrattivi perché questo è un ambito di grandi opportunità, non solo di lavoro, ma anche di soddisfazione personale. Certamente, vanno fatti dei passi diversi da parte della aziende per tornare a essere attrattivi.

D. Un tema è quello dei turni. Ma è possibile pensare a un’organizzazione oraria diversa nella ristorazione?
R. Sulla turnistica si può lavorare. Dove è possibile farlo, noi stiamo operando già su cinque giorni lavorativi con due di riposo perché ci rendiamo conto che questo è un mestiere faticoso, nel quale si lavora la sera, nei festivi, nei week-end e nel quale si ha a che fare con i clienti direttamente: quanto più le persone sono a propri agio e hanno i propri spazi di riposo, tanto più possono funzionare.

D. Prima faceva riferimento anche alla recensioni. Altro tasto dolente…
R. L’aspetto reputazionale è fondamentale. Il problema non si risolve certo vietando le recensioni, bisogna trovare piuttosto il modo di raccontare ai clienti la fatica che c’è dietro il lavoro nella ristorazione: a volte c’è un accanimento che è complicato umanamente da gestire. Dall’altra parte, se i dipendenti sentono che l’azienda è al loro fianco nel valutare perché succedono certe cose e come ci si può migliorare, anche parlando con i clienti, questo li rassicura molto e li fa sentire parte dell’azienda.

D. Uno dei temi del momento è la sostenibilità. Al di là delle operazioni di marketing, come può essere tale la sostenibilità in hotel, non solo dal punto di vista ecologico ma anche economico?
R. Sulla sostenibilità non c’è possibilità di fare alcun passo indietro. Non è immaginabile un ritorno a qualcosa di meno sostenibile per ottenere un risparmio di costi, non sarebbe accettato dai clienti. Anzi, questo può essere un buon momento perché alcuni prodotti considerati sostenibili da un punto di vista ambientale e sociale lo diventino di più anche a livello economico. Anche perché c’è un deprezzamento da parte degli ospiti se non si attuano pratiche sostenibili, che sono sempre più apprezzate anche dai collaboratori, sin dai colloqui di lavoro.

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