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La fiaba dello Château Monfort

L'albergo ha pure una mascotte: il coniglietto Juan Lapin

L'albergo ha pure una mascotte: il coniglietto Juan Lapin

Di Massimiliano Sarti, 27 Gennaio 2012

C’era una volta un castello in città. Come tutte le fiabe più belle, anche quella del nuovo Château Monfort inizia con un «C’era una volta». Protagonista, la simpatica mascotte della struttura milanese appena inaugurata, il conglietto Juan Lapin, che fa la sua comparsa già nelle presentazioni ufficiali dell’hotel ai clienti. Parola di Licinio Garavaglia, general manager, o meglio maître de maison come preferisce definirsi lui stesso, del nuovo 5 stelle targato Planetaria Hotels: «Si narra che tra queste mura, tanto tempo fa, si riunisse una potente consorteria di maghi. Il numero preferito da Ambrogio, il più celebre tra questi incantatori, era quello classico ma sempre affascinante del coniglio fuori dal cappello. A un certo punto, però, Juan Lapin, stanco di essere tirato per le orecchie ogni sera, decise di scappare in un anfratto del castello e di non farsi più vedere. Con il passare del tempo, i maghi dell’antica consorteria smisero di frequentare il maniero. Si dice però che Juan Lapin non abbia mai smesso di correre tra le mura del suo palazzo. E ancora oggi non pochi sostengono di vedere, a volte, il simpatico coniglietto far capolino da qualche angolo nascosto».
In effetti, l’hotel merita davvero una presentazione fiabesca: inserito in un edificio residenziale dei primi del Novecento, opera del celebre architetto Paolo Mezzanotte, quello della Borsa di Milano per intenderci, è andato recentemente incontro a un attento piano di valorizzazione. La progettazione dell’intervento è stata curata da Sofia Vedani, architetto e amministratore delegato della stessa Planetaria Hotels, in collaborazione con lo studio Fzi-Interior, diretto da due scenografe teatrali. Il risultato è così un ambiente con 77 camere e ampi spazi per le attività di accoglienza, la ristorazione e il relax, fortemente caratterizzato da atmosfere oniriche e fiabesche. A tutta prima, qualcuno potrebbe persino ritenere la scelta un poco azzardata rispetto al mercato, prevalentemente business, della città meneghina. «Eppure», ci assicura ancora il gm Garavaglia, «i primi feedback che abbiamo ricevuto sono entusiasti: le imprese e i pco con cui abbiamo parlato ne sono rimasti affascinati. Un po’ come peraltro è successo a me, quando sono venuto qui la prima volta, a cantiere ancora aperto. Mi portarono in giro per la struttura in divenire, raccontandomi il progetto nel dettaglio, e io mi innamorai subito dell’idea».
Il filone fantasy viene sviluppato, all’interno, in diverse tematiche: nelle camere superior si ritrovano ambientazioni ora improntate ai motivi floreali dell’Ibiscus, ora simili a boschi in cui fanno capolino gli occhi misteriosi di una civetta, ora a originali ricostruzioni delle cabine di viaggio di una volta, tra valigie e bauli antichi. Junior suite e suite traggono invece ispirazione dalle fiabe tradotte in opere liriche e balletti, con nomi quali Bohème, Cenerentola, Schiaccianoci, Uccello di Fuoco, Traviata, Turandot e Butterfly. A ciò si aggiungono quindi gli spazi meeting delle Segrete e della Sala dell’incantesimo e il degno contraltare del ristorante Rubacuori. «Si tratta di una struttura che affonda le proprie radici nell’anima bohémien della città», prosegue Garavaglia. «La sua forte connotazione di design è tuttavia limata degli aspetti più estremi, che in hotel di questa tipologia ne condizionano a volte il successo di lungo periodo. Quando, infatti, si spinge troppo in avanti la sperimentazione, capita spesso che gli ambienti passino di moda in poco tempo. Noi, invece, godiamo del fatto di essere inseriti in un palazzo storico, protetto dalle Belle arti, la cui classicità senza tempo accompagna armonicamente le scelte di interior design più contemporanee. La colorazione dominante, inoltre, è caratterizzata dalla delicatezza dei toni pastello che non stancano mai la vista. Al contempo, un sistema di illuminazione di chiara impronta teatrale, flessibile e originale, ci permette di modificare le atmosfere delle nostre camere e degli ambienti comuni, a seconda dei gusti e delle esigenze dei nostri ospiti».
Situato nel cuore di uno dei quartieri più glamour della città, alle spalle di piazza San Babila, vicinissimo al quadrilatero della moda e a poca distanza dal Duomo di Milano, lo Château Monfort si presenta all’esterno come un prezioso scrigno rivestito di porpora e decorato da stucchi. «L’obiettivo è quello di inserirci all’interno del cerchio ristretto dell’offerta più esclusiva di Milano», racconta il gm. «Ma vogliamo allo stesso tempo rimanere con i piedi ben piantati per terra, procedendo con la politica dei piccoli passi. Tanto è vero che, quando gli addetti della provincia sono giunti da noi per certificare le nostre 5 stelle, ci hanno domandato perché mai non avessimo chiesto anche la qualificazione lusso. E la ragione sta tutta qui: in un progetto che intende consolidarsi nel tempo, senza correre troppo in avanti».
Il target della struttura, come ormai avviene in tutte le metropoli, è assai eterogeneo e va dal naturale sbocco business, per una destinazione come Milano, al leisure e agli individuali, che nel capoluogo lombardo stanno diventando sempre più importanti. «Nel mercato alberghiero delle grandi città si sta ormai attuando una sorta di convergenza degli obiettivi: destinazioni come Roma e Firenze sono sempre più alla ricerca della clientela d’affari per coprire i periodi di bassa stagione, mentre città dalla vocazione tradizionalmente business, come la stessa Milano, provano invece a integrare la domanda corporate con quella dei viaggiatori leisure. Per quanto ci riguarda, in particolare, intendiamo anche sfruttare la forte presenza, in zona, di atelier fashion. Non siamo tecnicamente all’interno del celeberrimo quadrilatero della moda, ma le vie attorno alla nostra sono ricche di showroom di nomi più o meno celebri, a cominciare da Dolce & Gabbana. L’idea è perciò quella di diventare pure un punto di riferimento per l’universo fashion».
Per il 2012, anno non certo facile dato il complesso scenario economico europeo, il traguardo da raggiungere è quello di un’occupazione media attorno al 55-60%. «Per riuscirci occorrono persone competenti e preparate, dalla grande passione per l’ospitalità, ma soprattutto che credano veramente in questo progetto», conclude Garavaglia. «Per quanto mi riguarda, la mia linea è quella di sempre: diventare un vero maître de maison capace di accogliere i propri ospiti come se fossero a casa loro. In fondo, io mi considero della vecchia scuola: un direttore non può solo rinchiudersi dietro ai numeri, senz’altro importanti, ma deve conoscere gli ospiti di persona, salutarli in partenza e in arrivo, parlare con loro in tutte le occasioni che la vita d’albergo concede. Perché solo in questo modo la fiaba dell’ospitalità può davvero avere un lieto fine».

Chi è Licinio Garavaglia

Di origini comasche, diplomatosi presso l´istituto alberghiero di Chiavenna, Licinio Garavaglia ha conseguito numerose esperienze professionali in importanti catene e alberghi in Italia e all’estero, tra cui Il Principe di Savoia di Milano, il Grand Hotel Villa d’Este di Cernobbio e, per ultimo, il gruppo Baglioni Hotels. «La mia passione per l´hôtellerie ha radici profonde», racconta lo stesso Garavaglia. «Avevo solo sei anni, quando mio padre, proprietario di una stamperia per cravatte e foulard, mi portava in giro con sé mentre andava a trovare i propri clienti. E io rimasi subito affascinato dal mondo dell´ospitalità. Mio padre, per la verità, avrebbe preferito che io proseguissi la sua strada, ma io, a 14 anni, optai per la scuola alberghiera. Anche se la più vicina era a Chiavenna, non certo a due passi da Como. È stato quindi un grande sacrificio, ma sono convinto di aver fatto la scelta giusta. E ho avuto anche la fortuna di rendere mio padre orgoglioso di me, riuscendo a ottenere il mio primo incarico di general manager poco prima che lui se ne andasse qualche anno fa».

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