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In hotel arriva la “manager della felicità”: ecco chi è e cosa fa

L’esperienza del gruppo Move Hotels e della sua “Chief happiness officer”, che ha adottato una strategia basata sul benessere del team per migliorare sia l’esperienza di lavoro che quella degli ospiti

L’esperienza del gruppo Move Hotels e della sua “Chief happiness officer”, che ha adottato una strategi

Di Silvia De Bernardin, 5 Settembre 2024

In tempi di turnover sfrenato e difficoltà di reperimento del personale puntare sul benessere delle persone che lavorano in hotel può essere la chiave giusta non solo per attrarre e trattenere personale, ma anche per migliorare l’esperienza di soggiorno degli ospiti. È la strada che ha deciso di seguire Move Hotels, gruppo alberghiero veneto che conta due alberghi, il Move Hotels Venezia Nord di Mogliano Veneto e il Four Points by Sheraton Venezia Mestre.

Qui, la responsabile del personale Giorgia Cordella – oggi ufficialmente “Chief happiness officer” del gruppo – ha intrapreso un percorso di formazione che l’ha portata a certificarsi come “manager della felicità”. In questa intervista dal numero di questa settimana del nostro magazine digitale (sfogliabile per intero a questo LINK) ci racconta in cosa consiste il suo lavoro e come una strategia HR basata su una cultura aziendale forte e condivisa e sul benessere al lavoro possa dare risultati positivi su più fronti.

Cosa fa una “manager della felicità”?

Quella da “Chief happiness officer” è solo una parte del mio lavoro. Io mi occupo di risorse umane, l’ufficio lo abbiamo chiamato però “People Care Office” perché sin dall’inizio abbiamo voluto sottolineare la centralità del tema del benessere delle persone. Con l’appoggio dell’azienda – che crede molto nel fatto che, se le persone stanno bene sul posto di lavoro, riescano poi a far felici anche gli ospiti dell’hotel – ho intrapreso un percorso che mi ha dato la possibilità di certificarmi come “manager della felicità”. Di fatto, ho acquisito un set di competenze e strumenti che servono a individuare cosa rende felici le persone e su cosa agire ogni giorno all’interno dell’azienda per raggiungere questo obiettivo.

Ovvero?

Lo Chief happiness officer è un esperto di organizzazioni positive. Si cerca di fare in modo che la felicità sia una strategia all’interno dell’azienda, così come lo è fare business o aumentare i ricavi. È un approccio strategico che ha a che fare con il purpose, con lo scopo che l’azienda si dà, al di là del mero profitto, rispetto a ciò che vuole essere e all’impatto positivo vuole lasciare nelle persone e nella comunità.

E da dove si comincia?

Io sono partita facendo una fotografia dei due hotel del nostro gruppo, per capire come eravamo messi e su cosa era necessario intervenire. Ho iniziato occupandomi di leadership perché un’organizzazione è positiva se ha leader positivi. Una delle prime azioni è stata trasformare i briefing operativi – quelli che vengono fatti la mattina tra i capi servizio per discutere di ciò che succederà quel giorno – in momenti per approfondire, tra le persone che compongono la linea manageriale, che cosa significhi essere un leader positivo attraverso lavori di affiatamento, di conoscenza, di gratitudine . Abbiamo lavorato tantissimo, e continuiamo a farlo, sui feedback, perché ciò che le persone chiedono è soprattutto di essere ascoltate e guidate rispetto a cosa stanno facendo bene e a cosa possono migliorare. Un lavoro sul feedback positivo – mentre di solito di ci concentra soprattutto su ciò che le persone sbagliano –, sul risolvere i problemi da subito, su come dare e accettare i feedback, che sicuramente ci ha aiutato anche a fare squadra e che ora, a cascata, ogni capo servizio sta portando nel proprio team.

Come ha preso il personale questo nuovo approccio?

Il riscontro è stato sicuramente positivo. C’è da dire che, ancor prima che conseguissi la certificazione e assumessi questo nuovo ruolo, sia l’azienda che io personalmente come HR eravamo concentrati sul tema del benessere. Sicuramente, la certificazione mi ha fornito strumenti, che prima non avevo, per capire se le attività proposte possono dare i risultati attesi.

Risultati anche in termini di customer experience?

Li stiamo misurando anche da questo punto di vista. Le recensioni positive, nelle quali vengono nominate le persone dello staff come sorridenti, proattive, in grado di aiutare gli ospiti, per noi sono un grande risultato: se riescono poi a dare un buon servizio ai clienti e loro lo percepiscono, significa che stanno bene.

È una strategia che premia anche rispetto al turnover?

Quello che osserviamo è che anche il turnover, dopo il periodo difficile della pandemia, si sta stabilizzando. Molto lavoro è stato fatto, da questo punto di vista, nell’approccio al recruiting e all’onboarding.

In che modo?

Definirsi un’azienda positiva prevede una cultura aziendale forte, che le persone siano coinvolte e conoscano i valori aziendali. Noi siamo ripartiti proprio da qui, domandiamoci chi è Move Hotels, quali sono i suoi valori e come li portiamo ogni giorno davanti all’ospite. Questo lavoro mi è servito moltissimo per organizzare il recruiting in modo da poter verificare già nei colloqui se la persona che ho di fronte può integrarsi con i nostri valori. Mi sono concentrata molto anche sulla fase di onboarding perché le persone possano capire, già dai primi giorni, che come azienda teniamo a loro. Abbiamo quindi riorganizzato tutta la parte di briefing della prima settimana in modo che i nuovi arrivati non siano “buttati” direttamente nel proprio reparto, ma vengano formati sui nostri valori e abbiano la possibilità di conoscere tutti gli altri capi reparto e i colleghi. Stiamo capendo come poter migliorare anche lo step successivo perché chi arriva possa apprendere nuove procedure e mansioni attraverso un percorso di formazione strutturato.

Si discute molto della mancanza di attrattività del settore verso i giovani. Un approccio orientato al benessere può aiutare anche in tal senso?

La mancanza di attrattività è abbastanza innegabile, soprattutto per reparti come la cucina e la sala nei quali il lavoro è fisicamente impegnativo e spesso viene raccontato male. Noi abbiamo attivato diverse collaborazioni con gli istituti alberghieri della zona perché i ragazzi, già durante il percorso di stage, possano sperimentare in prima persona che l’esperienza in hotel può e deve essere positiva. Poi, certamente questo è un lavoro che ha le sue caratteristiche: l’hotel è sempre aperto, si lavora su turni, c’è il notturno. Quello che abbiamo fatto noi è stato eliminare i turni spezzati, prediligere i due riposi continuativi non solo per le mansioni di ufficio e poi, come dicevamo, lavorare sui processi, sull’avere leader capaci di creare un ambiente di lavoro positivo, sull’ascolto, sulla connessione tra le persone e sull’apprezzamento del lavoro svolto – oltre che, chiaramente, sull’avere degli stipendi adeguati.

Attività che – sembra vista da fuori – necessitano di un pensiero più che di investimenti e budget cospicui.

Esatto, si tratta soprattutto di pensare a come vuoi che vengano affrontate le sfide quotidiane. Sicuramente far certificare una persona per un’azienda prevede un costo, ma non si tratta di un costo esorbitante. Piuttosto, è necessario poi riuscire a staccarsi dall’operatività stretta per dedicare tempo alle attività che abbiamo visto, che non sono il classico team building, ma investono i processi quotidiani.

Qual è il prossimo progetto che vorrebbe realizzare?

La cosa sulla quale stiamo lavorando in questo momento è il riconoscimento del merito. Già in passato avevamo il premio per il “dipendente del mese”, ora lo abbiamo reso più partecipativo attraverso una cassetta della posta nella quale le persone possono segnalare le azioni positive dei colleghi che rispondono ai nostri valori aziendali di bellezza, innovazione e accoglienza. In questo modo è come se il premio venisse deciso da tutto il team e non soltanto dal management: un’iniziativa che si sta rivelando partecipata e gradita.

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