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Il vero segreto della buona cucina

Di Giacomo Nogara, 24 Novembre 2006

Pubblichiamo volentieri il bell’articolo dello chef Giacomo Nogara, capace di parlare di cucina in modo interessante e poetico. Fino a febbraio 2007 sarà in vacanza, e quindi disponibile a offrire la sua preziosa consulenza.

Mi vedo seduto al tavolo di un ristorante di questa bella Italia e mi accorgo che la presentazione è il primo contatto sensoriale che si ha con il piatto che ti viene servito. Di seguito un profumo ti cattura… chiudendo gli occhi mi tornano alla mente gli aromi di un tempo non troppo lontano.
Ricordo con immensa emozione quello splendido strudel di mele che cucinava mia nonna Elisa (trentina doc) con i prodotti raccolti e cucinati in giornata: le uova del pollaio di casa unite alla farina appena macinata, il burro della malga, giallo oro, con quel sentore inconfondibile di fiori ed erbe di montagna, quei profumi di mele e cannella che si sprigionavano dalla vecchia e annerita stufa a legna.
Sapori passati di una tradizione contadina che mi piace riproporre in chiave moderna, ma con una qualità di prodotti che sono il massimo reperibile sul mercato: materie prime d’eccellenza delle province lombarde, terre ricchissime di giacimenti gastronomici. Ecco qualche prodotto da non dimenticare: il bitto, originario del versante orobico della Valtellina, viene prodotto esclusivamente nei mesi estivi, quando le vacche e le capre brucano le erbe e i fiori d’alta quota. A me piace proporlo con una rivisitazione meno calorica rispetto ai tradizionali pizzoccheri, ovvero una zuppetta di erbette e patate con ravioletti di grano saraceno e bitto stagionato due anni.
Il salame di Mortara, chiamato anche «ecumenico», un insaccato di carni tritate di sola oca e stagionato per 60 giorni, lo consiglio semplicemente con un’insalatina di germogli di aglio, di misticanze e due gocce di aceto biologico di lamponi.
Il taleggio della Valsassina è un formaggio molle a pasta cruda, con la particolarità di sprigionare dalla crosta aranciata un tipico profumo di tartufo, ed è quindi eccezionale sciolto come una semplice fonduta e servito con sottili lamine del pregiato tubero.
L’olio extra vergine d’oliva, oggi dop «laghi lombardi» prodotto a Perledo, grazie a un clima mite, raggiunge i massimi livelli e dona ai piatti in cui lo utilizzo (per esempio, la cassoletta di coniglio e agnello marinata al timo e asparagi selvatici) un intenso profumo fruttato di mandorle.
Per concludere in dolcezza, prendiamo in esame uno degli alimenti fondamentali nella dieta contadina della Valtellina: il grano saraceno, coltivato ancora a Teglio (uno dei presidi Slow food), usato per la preparazione dei pizzoccheri e degli sciatt, ma che io propongo in un tortino caldo di cioccolato fondente con cuore morbido di cacao, accompagnato da una crema all’arancia e cioccolato gianduia.
Ma amo spaziare anche in altri territori per esplorare accostamenti e gusti diversi, partendo dalla tradizione per arrivare poi alla contemporaneità. La vera essenza di un piatto, tante volte, non è stupire, ma creare un equilibrio armonico tra gli alimenti spesso contrapposti. Prendiamo il sale inglese Maldon, ricco dell’essenza del mare in burrasca, abbinato alla mascarpa di Biandino con quel profumo inconfondibile di stallatico che la caratterizza, o le poco conosciute castagne essiccate nei tecci di Calizzano e Murialdo (entroterra ligure), che vengono affumicate per circa due mesi sopra un fuoco basso e costante e, dopo cinque ore di lenta cottura in acqua, mi danno la possibilità di preparare una bavarese di marroni e cioccolato fondente Sao Tomè, che proviene dal Golfo di Guinea, accompagnata da una crema vellutata al pandoro di Verona.
Questi ingredienti di altissimo livello qualitativo, pur provenendo da luoghi assai diversi, fanno grande un territorio e lo chef che li utilizza è facilitato nella creazione dei suoi piatti.
Passione, piacere, perfezione e soprattutto materie prime di qualità scelte accuratamente in base alla stagione, al territorio e presentate in modo innovativo, ma sempre nel rispetto dei sapori primari, sono il vero segreto della buona cucina.

Giacomo Nogara

È nato a Lecco nel 1967 e ha maturato diverse esperienze lavorative: al Savini di Milano dal 1990 al 1992, al Four Seasons di Milano dal 94 al 96, in numerosi ristoranti e alberghi a 4 e 5 stelle in Italia, in Svizzera (St. Moritz) e in Francia. È stato al fianco (come extra) di Gualtiero Marchesi all’Albereta di Erbusco e al Bistrot di Milano, di Angelo Paracucchi alla Locanda dell’Angelo a Sarzana, di Simone Ciccotti all’Apollinare di Spoleto. Attualmente dirige la cucina del ristorante Pesa Vegia di Bellano (www.pesavegia.it), offre consulenze per creazione menu, formazione del personale e organizza corsi di cucina e pasticceria.
Ha ricevuto vari riconoscimenti e premi: finalista e secondo classificato al concorso «Primi d’Italia» a Roma nel 1998, secondo classificato al concorso indetto dalla regione Lombardia As.Co.Vi.Lo nel 1999, primo classificato al Festival della cucina a Riccione nel 1999, finalista al concorso «Ricette in abbinamento al Torcolato» nella sezione dessert Milano nel 2002, finalista al concorso «Patate di Francia» 2005, secondo classificato alla gara gastronomica «Gino Tomasoni» Lecco 2006, secondo e terzo classificato al concorso «Goccia d’oro» Perledo (Lc) nel 2005 e nel 2006.

La ricetta
Zuppetta di erbette e patate trentine
con ravioli di grano saraceno e bitto invecchiato due anni
Ingredienti (per 4 persone)
Per la zuppa
200 gr. di erbette pulite; 100 gr. di patate; 30 gr. di scalogno; 10 gr. di olio e.v. d’oliva; 100 gr. di bitto invecchiato 2 anni; brodo vegetale.

Per i ravioli
150 gr. di farina bianca; 100 gr. di farina di grano saraceno; 1 uovo intero; 100 gr. di bitto giovane; acqua q.b

Procedimento
Preparare i ravioli e farcirli con il bitto giovane finemente tritato. Nel frattempo rosolare lo scalogno con le patate tagliate a piccoli dadi e le foglie delle erbette.
Aggiungere del brodo vegetale, e dopo una decina di minuti unirvi i ravioli e terminare la cottura.Versare in una zuppiera e aggiungere una dadolata di bitto stagionato.

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