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Il mojito per astronauti

Di Massimiliano Sarti, 31 Luglio 2009

Promuovere e stimolare il buon bere e il consumo consapevole è una necessità ineludibile per tutti i barman. E anche la molecular mixology può dare il suo contributo in tale direzione. È quanto ha sostenuto, durante la tavola rotonda di Barmood 2009, l’evento milanese dedicato al beverage di cui abbiamo parlato pure sullo scorso numero di Job in Tourism, Dario Comini, barman Aibes, gestore del Nottingham Forest di Milano, nonché uno dei più noti esponenti della disciplina molecolare declinata al bere miscelato: «La recente polemica scatenata dalle critiche di Striscia la Notizia nei confronti del molecolare in cucina ha creato un po’ di confusione in materia. Chi segue professionalmente le teorie molecolari, in realtà, utilizza esclusivamente prodotti controllati e certificati. Non solo: la molecular mixology è, a mio parere, un bagaglio importante per un barman. Che però non può esaurire in essa tutte le proprie competenze, ma deve essere in grado di spaziare a 360 gradi in ogni tecnica del bere miscelato. Non bisogna, infine, sottovalutare le tendenze più recenti in materia, che si stanno indirizzando verso nuove forme di molecolare, alcune delle quali non prevedono neppure l’utilizzo di additivi».
E proprio da tali trend innovativi possono nascere tecniche inedite per un consumo più consapevole e sano. «Mi viene per esempio in mente la moda degli shot, che spesso gli avventori prendono tra un drink e l’altro», ha proseguito Comini. «Ebbene, la molecular mixology può aiutare bartender e consumatori a raggiungere contemporaneamente i propri obiettivi, consentendo ai primi di consigliare soluzioni meno aggressive per l’organismo e ai secondi di provare comunque sensazioni simili a quelle provocate dalla subitanea assimilazione di un’ingente quantità di alcol, come avviene proprio con gli shot».
Il trucco risiede nelle caratteristiche di un prodotto farmaceutico facilmente reperibile in commercio e assolutamente privo di qualsiasi effetto per l’organismo: il comune involucro o capsula delle pastiglie. «Le nostre labbra», ha infatti spiegato Comini, «sono dotate di recettori che normalmente segnalano alla lingua e alle sue papille gustative la natura del cibo o del liquido che stiamo per ingerire, in modo da prepararle a reagire adeguatamente agli stimoli in arrivo. Inserendo una quantità minimale di alcol all’interno di una capsula è un po’ come se imbrogliassimo i nostri recettori, non permettendo loro di entrare in contatto con il contenuto della pastiglia. Che invece è destinato a sorprendere le papille gustative al momento dello scioglimento dell’involucro, provocando in questo modo un effetto shock quasi pari a quello generato da due shot bevuti contemporaneamente. Il tutto non impedisce poi al bartender di sbizzarrirsi, arricchendo le capsule di elementi aromatizzanti come spezie ed essenze. Un’opportunità, quest’ultima, che forse ci darà la possibilità di assaggiare, tra qualche tempo, cocktail originali come, per esempio, un nuovo mojito per astronauti».
Il bere consapevole è peraltro uno dei temi più cari anche al presidente Aibes, Giorgio Fadda, che nel suo intervento ha sottolineato l’impegno dell’associazione in tale materia: «Qualche tempo fa abbiamo realizzato un codice di autoregolamentazione in tema di vino e, tra i nostri programmi futuri, c’è anche il progetto di un sistema di certificazione di qualità. Infine, collaboriamo spesso con il governo nella realizzazione di programmi di formazione nelle scuole. Ma è soprattutto la qualità professionale dei bartender a potere e a dover fare la differenza. E non esclusivamente in termini di bere consapevole. In un periodo economicamente difficile come questo, credo, infatti, che sia il fattore umano a risultare davvero decisivo. Solo le competenze e le capacità dei bartender nel consigliare e spiegare cocktail nuovi e classici, nonché nell’offrire un reale valore aggiunto, sono, infatti, in grado di conquistare realmente gli avventori».
Del bere declinato al femminile e di trend innovativi ha infine parlato Ursula Chioma, detentrice del titolo Aibes 2008 di barman, ma forse sarebbe più corretto dire di barlady, dell’anno: «In realtà non esiste una vera e propria categoria del bere in rosa. La differenza, tra uomini e donne, risiede più nella scelta dei locali in cui andare a degustare cocktail e drink, che nella tipologia di prodotto acquistato. Una nuova tendenza, che sto sperimentando direttamente al Cristallo Palace hotel & spa di Cortina d’Ampezzo dove lavoro, è invece quella dei drink energetici, dietetici e, in generale, legati al benessere: in grado, insieme agli analcolici, i cosiddetti smoothie, di conquistare una fetta sempre più ampia di estimatori. Da non sottovalutare, infine, sono pure alcune delle novità provenienti dall’estero come, per esempio, quella tutta londinese di utilizzare tra gli ingredienti anche spezie quali il pepe o lo zenzero».

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