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Il metaverso dei viaggi è già qui

Dalle esperienze in loco a quelle virtuali vissute comodamente seduti sul divano di casa fino alle nuove modalità per il recruiting e la formazione del personale: ecco cos’è oggi e cosa potrà diventare domani il metaverso dei viaggi

Dalle esperienze in loco a quelle virtuali vissute comodamente seduti sul divano di casa fino alle nuove moda

Di Silvia De Bernardin, 1 Giugno 2023

Tutti ne parlano. Ma cosa sappiamo esattamente del metaverso? Quali sono al momento le sue applicazioni nel mondo del turismo? E, soprattutto, come cambierà il nostro modo di viaggiare – e di lavorare – man mano che le tecnologie immersive, supportate dall’intelligenza artificiale, diventeranno sempre più performanti? Nel numero del giornale di “Job in Tourism” di questa settimana (che potete leggere qui) ne abbiamo parlato, per provare a capire cosa ci attende, con Lorenzo Cappannari, CEO di AnotheReality, società specializzata nell’applicazione delle tecnologie di mondi virtuali per la formazione, le esperienze di brand e di prodotto e l’intrattenimento, e autore del libro Futuri possibili. Come il metaverso e le nuove tecnologie cambieranno la nostra vita.

Partiamo dall’inizio: a che punto siamo, davvero, rispetto allo sviluppo del metaverso e delle sue applicazioni?

Il metaverso si può definire in tre modi diversi. La prima definizione è la visione collegata alla descrizione che ne fa chi ha inventato la parola “metaverso”, lo scrittore Neal Stephenson. Nel suo romanzo del 1992, Snow Crash, Stephenson rappresenta un unico internet tridimensionale, una realtà simulata nella quale le persone da remoto si collegano attraverso dispositivi di vario genere e si ritrovano in un luogo digitale come fossero in uno fisico. Di fatto, un unico universo digitale nel quale fare moltissime esperienze spostandosi da uno spazio all’altro senza soluzione di continuità. Questa visione rappresenta una bussola per le grandi aziende tecnologiche che stanno investendo ed è quella richiamata anche da Zuckerber quando ha annunciato il rebranding di Facebook in Meta. Questo metaverso oggi non esiste per una serie di vincoli tecnologici ancora non sorpassati. Quello che esiste, invece, è un insieme di tecnologie che rappresentano una vera e propria industry che, come un cappello, collega cose che fino a ieri erano scollegate: figure professionali, tecnologie, software e hardware che afferiscono al paradigma della simulazione. Il metaverso, dunque, come nuovo modo di esperire il digitale basato su tecnologie simulative. E poi c’è una terza definizione, quella più rilevante per i consumatori.

Ovvero?

La cosiddetta metaverse experience, che mutua dalla tecnologia una serie di valori aggiunti e ci permette, già oggi, di fruire di tutta una serie di esperienze: intrattenimento, socializzazione in mondi virtuali, ownership digitale di asset del mondo virtuale. E l’immersività, che rende le simulazioni molto realistiche, fa muovere il nostro corpo al loro interno facendoci provare emozioni uguali a quelle esperite nella realtà fisica. A questo ambito afferisce anche l’intelligenza artificiale di cui si parla tanto in questo periodo e che è parte del metaverso: è l’AI che “riconosce” il mondo fisico e permette di “aumentarlo” nella realtà digitale con la creazione degli ologrammi. Infine, la smaterializzazione: il metaverso ci consente di smaterializzare oggetti, prodotti fisici e luoghi.

A proposito di luoghi, al momento, nel turismo le prime sperimentazioni hanno a che fare principalmente con operazioni di marketing. Ma il metaverso cambierà, secondo lei, il modo di viaggiare delle persone? Arriveremo a una forma di “turismo virtuale” maturo?

Assolutamente sì. È sicuro che il turismo sarà toccato da queste tecnologie e quanto più diventeranno massificate tanto più il turismo diventerà uno dei casi d’uso più rilevanti. I luoghi turistici probabilmente saranno quelli che ci metteranno un po’ di più a capirne le possibilità perché l’obiettivo di chi possiede un’attrazione turistica è aumentare l’incoming fisico dell’attrazione. Ma pensiamo al Circo Massimo, alla possibilità di andare sul posto e, attraverso i visori, visitarlo come era una volta. Nei luoghi turistici il metaverso arriverà innanzitutto così, come location based experience: ovvero provare in loco un’esperienza immersiva a valore aggiunto. Credo che questo sarà il primo step, anche se non certamente quello di arrivo, che prevede a mio avviso una virtualizzazione molto più spinta dell’esperienza turistica, che possa essere fruita anche da remoto. Prima, però, dovremo raggiungere una diffusione dei device tale da rendere profittevoli esperienze di questo tipo. E ci sarà da superare una certa ritrosia culturale, che si smarcherà soltanto facendo le prime sperimentazioni e dimostrando che il metaverso non diminuisce l’incoming in loco, ma anzi lo aumenta.

In che modo?

Innanzitutto, visitare un asset turistico in virtuale, da casa, aumenta il desiderio di andare a vederlo dal vivo. In real life l’esperienza turistica è e sarà sempre un’altra cosa: viaggiare non è solamente visitare un luogo, c’è tutta una serie di esperienze sensoriali che non può essere toccata dal metaverso, per quanto realistico risulterà. Inoltre, ci si dimentica spesso che nel mondo ci sono miliardi di persone che certi luoghi non potranno visitarli mai. Dobbiamo pensare che dando accesso alle bellezze del nostro Paese con il turismo virtuale non stiamo diminuendo il numero di persone che andranno a vederle fisicamente. Piuttosto, stiamo dando a quelle che possono e vogliono viaggiare la possibilità di farlo prima e scegliere meglio cosa visitare e a coloro che non possono farlo di avervi accesso in modo diverso. In entrambi i casi, generando un extra revenue stream.

E le aziende, invece? Il settore alberghiero sta guardando al metaverso?

In tanti stanno facendo sperimentazioni. Per esempio, Hilton insieme a Meta ha creato dei training per formare le proprie persone nei lavori che richiedono standardizzazione, come i set up delle stanze. Marriott ha creato delle esperienze per portare i clienti dentro gli hotel dall’altra parte del mondo con la realtà virtuale. In molti, in questo momento, più che il metaverso stanno usando i video immersivi 360 che, attraverso l’uso di visori, permettono di entrare nella realtà virtuale registrata da una telecamera e di guardarsi intorno. A differenza del metaverso, però, qui non si possono fare esperienze né incontrare altre persone.

Nel suo libro parla delle applicazioni del metaverso nell’ambito della formazione e del recruiting. A che punto siamo?

Nello standard del recruiting il metaverso non è ancora entrato a pieno, ma alcune sue parti sì, per esempio la gamification. Le aziende utilizzano videogiochi sociali per test su grande scala per fare le prime scremature su alcune tipologie di caratteristiche dei candidati. Sulla formazione, invece, siamo più avanti. A pensarci bene, infatti, il metaverso è una tecnologia afferente al paradigma della simulazione, che è nata proprio per fare formazione (pensiamo ai simulatori di volo). Chiaramente, si tratta di aspetti che possono essere collegati: il gioco utilizzato per il recruiting può essere reimpiegato poi per fare formazione sul problem solving collaborativo piuttosto che per l’onboarding. Esistono anche diverse applicazioni sul tema delle soft skills, che simulano situazioni per capire come interfacciarsi al cliente o qual è il modo migliore di rispondere a una certa domanda. Il limite, soprattutto per le strutture indipendenti, è rappresentato in questo momento dagli investimenti, che risultano più scalabili se si parla invece di grandi catene alberghiere. E dai visori, lo strumento che funziona meglio sulla formazione simulativa perché garantisce l’immersività, ma che non è ancora così diffuso.

Un altro settore destinato a essere impattato è quello degli eventi. Il post-pandemia sta dimostrando, però, che gli eventi live non sono destinati a morire tanto facilmente, come si temeva. Cosa succederà col metaverso?

Lo scorso anno abbiamo organizzato in presenza l’OnMetaverse Summit, un grande evento sul metaverso che replicheremo quest’anno a novembre a Milano. Gran parte del valore aggiunto degli eventi è dato dal poter incontrare le persone e fare networking e dal vivo questo si può fare meglio. Ma la partecipazione virtuale funziona per chi all’evento non ci può andare e altrimenti lo perderebbe. In generale, la remotizzazione di un evento ha tanto più valore quanto più è rilevante la parte di conferenza e meno quella di networking, di intrattenimento e di community building. Anche in questo caso, però, rischiamo di perdere delle opportunità.

In che senso?

Se è vero che gli eventi in fisico vengono meglio, è vero anche che vale lo stesso discorso del turismo: l’evento digitale, se visto con intelligenza, può rappresentare un extra revenue stream perché, soprattutto ora che le persone si sono abituate a lavorare da casa, ci sarà chi all’evento fisico non ci andrà, per mille ragioni. Per questo, avere una gamba digitale dell’evento, non sostitutiva ma ben strutturata, ha molto senso. E poi si può ragionare sulla tipologia, lo sdoganamento della tecnologia degli ultimi anni ci ha dimostrato che per alcuni non è così necessario vedersi in presenza.

In generale – lo racconta nel libro – si tratta di evoluzioni destinate a comportare grandi cambiamenti nel mondo del lavoro. Quali saranno le professioni maggiormente coinvolte?

Sicuramente la parte dell’intelligenza artificiale legata al metaverso sarà la prima ad avere un impatto forte sul mondo del lavoro, e non necessariamente positivo. Per alcune professioni – pensiamo alla creazione dei contenuti – il salario si livellerà verso il basso perché si abbasserà la soglia di accesso. Per altre, ci sarà bisogno di meno persone. Ma, allo stesso tempo, avremo necessità di molte più persone in altri ambiti. Come è successo con l’avvento di internet, il mondo del lavoro cambierà perché cambieranno le skills richieste. Anche per quanto riguarda il turismo, quello virtuale arriverà e ci sarà sempre più bisogno di persone che creino questi mondi virtuali, li popolino, li gestiscano, li umanizzino, esattamente come gestiscono le esperienze turistiche o di intrattenimento tradizionali.

 Come si immagina che viaggeremo tra una trentina d’anni?

Incontrare persone, sentire gli odori, mangiare cibo locale, bere un bicchiere di vino particolare: queste cose nel metaverso non si faranno. Non credo che il viaggio così concepito sarà soppiantato, ma ci saranno molti viaggi che alcune persone non potranno fare fisicamente e ai quali avranno accesso nel metaverso, perché costerà molto meno e impatterà meno anche dal punto di vista ambientale. Il viaggio nel metaverso diventerà una realtà sempre più rilevante quando ci saranno dispositivi che permetteranno l’immersività piena ad un prezzo accessibile, quando la qualità dell’esperienza sarà tale per cui avremo davvero la sensazione di sentirci lì, quando anche gli avatar saranno più credibili e realistici. Parliamo di massimo una decina di anni: non è un futuro così lontano.

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