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Il governo del cambiamento (in albergo)

Esternalizzare un comparto non è un compito facile. Ma funziona. A patto che si scelga il partner sulla base di garanzie precise di professionalità, serietà e competenza

Esternalizzare un comparto non è un compito facile. Ma funziona. A patto che si scelga il partner sulla base

Di Job in Tourism, 17 Luglio 2018

Tocca alla verve frizzante e ironica di Dennis Zambon introdurre il nostro nuovo Speciale Outsourcing: un numero monografico completamente dedicato a un tema importante come l’esternalizzazione, elemento ormai imprescindibile dell’organizzazione del lavoro di molti hotel contemporanei. Nelle pagine che seguiranno potrete così conoscere da vicino (in rigoroso ordine alfabetico) alcune delle più prestigiose realtà italiane del mondo dell’outsourcing, che racconteranno le ultime novità e soprattutto il proprio modo d’intendere una partnership vincente con le strutture alberghiere. Nel suo intervento, il responsabile di Jit Hospitality, la divisione consulenza di Job in Tourism, ci racconta quindi della propria esperienza personale: di come ha vissuto, da direttore, il passaggio epocale delle prime esternalizzazione del reparto piani. Buona lettura!

In quei primi mesi del 2003, realizzai all’improvviso che era l’ennesimo cocktail di saluto a cameriere che se ne andavano in pensione. Mi chiesi quante ne fossero rimaste, come stessimo gestendo i piani, come avremmo potuto riorganizzare il reparto. I neuroni giravano a mille. Chiamai Paola, la mia hr: «Dobbiamo studiare questo caso nei minimi dettagli. Abbiamo una quindicina di cameriere e quindi, quando va bene, riusciamo a riassettare mezzo albergo. Se l’altro mezzo lo dessimo in outsourcing?».

Primo punto: quanto ci costa davvero pulire una stanza? Costo lavoro, materiali di pulizia, attrezzature, divise, pasti, governanti, Irap, personale extra, tempo per cercare personale extra, formazione, costi indotti dall’incremento dell’organico… Il risultato è sorprendente: un costo su base mensile che oscilla tra i 18 e i 30 euro, soprattutto in relazione ai livelli di malattia e quindi all’inserimento di extra.

Gestire un albergo come se fossero due può sembrare stressante ma, invece, stimola il lato destro del cervello producendo creatività a tutto spiano. Una cosa tipo: dal primo piano al quarto «me lo pulisco io» e dal quinto al nono «loro». Già, perché dividere l’albergo in due?  Semplice: il personale rimasto, rimane e quindi si evitano tanti mal di testa, come i licenziamenti per il passaggio di cameriere e facchini alla società subentrante (livelli tossici di conflittualità interna).

Poi si genera anche una sana competizione: chi pulisce meglio? I dati sulla soddisfazione degli ospiti raccolti con i questionari online vengono analizzati e discussi valutando le indicazioni fornite dagli stessi ospiti, che hanno soggiornato da “noi” piuttosto che nelle camere degli “altri”. Una cosa scientifica, insomma.

Dato il presidio sindacale storico e consolidato, la speranza di conflittualità zero è stata spazzata immediatamente da una serie di scioperi che, comunque, avevamo messo in conto.

Ma se fai le cose con calma, scegli il partner più opportuno basandoti non sul prezzo più basso ma su garanzie ben precise di professionalità, serietà e competenza, e aspetti che entri in vigore una normativa chiara in materia (nel caso, la legge Biagi pubblicata il 24 ottobre di quell’anno, un venerdì), ecco che il lunedì 25 puoi partire con tutte le benedizioni.

Sei mesi di studio, preparazione, lotta continua… I primi tempi non furono proprio sul velluto. Tipo il manutentore-sindacalista che gira per le “loro” camere (facilitato dalla propria mansione) e segnala puntualmente qualsiasi minima deficienza: qualche cosa non pulita bene o fuori posto e così via. Dimostra un monolitico senso del dovere, un grande attaccamento all’azienda. Ma a senso unico: solo nelle “loro” camere e non nelle “nostre”. In ogni caso si merita una sottolineatura: gli diamo un premio (euro in busta paga) con lettera di encomio esposta in bacheca per riconoscenza e quale esempio per tutto il team. Peccato che da quel momento abbia smesso di collaborare: vallo a capire!

Col tempo altre nostre cameriere lasciarono l’albergo per vari motivi, così la divisione progressivamente mutò e una parte (la “nostra”) si rimpicciolì a vantaggio dell’altra. Tale evoluzione ci permise altre piccole innovazioni, come una gestione più semplice e meno conflittuale delle ferie, dando la possibilità a un maggior numero di cameriere (“nostre”) di stare in famiglia nei periodi più gettonati come agosto, piuttosto che Natale o Capodanno.

Se è chiara la situazione che abbiamo creato dividendo in due l’hotel, sarà evidente che il processo di assegnazione delle camere era stato giocoforza stravolto: il “riempimento” dei piani doveva avvenire con una logica di elevata programmazione, in modo da ottimizzare le risorse in gioco. Qui il ruolo del capo ricevimento e del suo team divenne fondamentale e immagino che ancora gioiscano per l’ampio utilizzo di prospetti Excel di cui hanno goduto. Vero Sandro?

Tirando le somme, il risultato economico dell’operazione fu eccellente ma anche quello qualitativo: la sana competizione funzionava e, da una parte e dall’altra, la rincorsa al «profuma di più» o «è più pulita» era quotidiana.

Cambiando gruppo alberghiero, le terziarizzazioni furono all’ordine del giorno. La crisi era arrivata e i costi mordevano i polpacci e spolpavano i ricavi: prima uno, poi due, poi tutta la piazza milanese e Torino e Roma. Bando all’eleganza, andammo giù piatti: licenziamenti e assunzioni da aziende selezionate questa volta più con la barra del timone sul prezzo che su altri più nobili parametri. Gran turbolenza con qualche cantonata. Ci tenemmo le governanti trasformate magicamente nelle vestali dei controlli qualità e rimescolate, più o meno con la dovuta delicatezza e sulla stessa piazza, tra un albergo e l’altro in virtù della nuova mansione e per evitare i conflitti d’interesse con il loro ex-team.

Innumerevoli incontri sindacali, meeting, riunioni, confronti, scontri ma s’è fatto quello che andava fatto. Certo, nei due alberghi aperti ex-novo nel 2008 fu tutto facile, liscio come l’olio. D’altronde quando apri un albergo e parti da zero, un nuovo modello organizzativo si può introdurre senza difficoltà. Ma solo se ci hai pensato bene prima, se con i progettisti hai studiato le soluzioni ottimali di uffici, offices, spogliatoi, magazzini, percorsi…: tutto in funzione del famoso modello organizzativo predefinito a tavolino.

Con alberghi operativi da parecchi anni, con uno staff con anzianità (di servizio) elevata, con una presenza sindacale forte, agguerrita e spesso arroccata su posizioni di retroguardia, la faccenda si complica notevolmente: bisogna studiare a fondo il problema e considerare tutti i possibili scenari prima di qualunque mossa.

Ecco il punto: studiare il problema da ogni angolazione, senza trascurare alcuna prospettiva. Purtroppo, spesso, si sottovaluta la questione e si parte lancia in resta. Figli di questo nostro tempo dove ormai regna la superficialità e la fretta, abbiamo sempre più difficoltà nel considerare l’approfondimento e l’approccio rigoroso un passaggio necessario, fondamentale, indispensabile.

Ps: se le operazioni di outsourcing dei piani non paiono sufficienti per complicarsi l’esistenza, si raccomanda di prendere in considerazione anche la terziarizzazione del food & beverage. Qui c’è proprio da divertirsi. Ma è tutta un’altra storia, anzi, Odissea.

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