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Il futuro sarà dei giovani

Di Paolo Caldana, 1 Gennaio 2005

Pubblichiamo di seguito l’editoriale del presidente nazionale Fic, Paolo Caldana (uscito sul numero di luglio-agosto della rivista Il Cuoco), che rappresenta un utile punto di vista sull’evolvere della professione.
In un mondo globalizzato, dove si conosce tutto in tempo reale, dove l’elettronica ha preso il posto del sentimento e a volte anche della ragione, guardare ai giovani significa riflettere su quello che sarà.
Qualcuno disse: «Un popolo che non ha memoria, non può avere futuro». Condivido pienamente questa affermazione. Il nostro passato, le nostre tradizioni, il nostro mondo sono troppo importanti perché «qualsiasi cosa possa avere il sopravvento». Ed è vero anche nel nostro lavoro. Il nostro tesoro è rappresentato dalle nostre esperienze, che trasmettiamo con affetto e amore a chi ci è vicino. Il nostro modo di svolgere la professione non deve rimanere chiuso in noi stessi, ma dev’essere un’opportunità di contatto, di trasferimenti di sensazioni e di affetti.
Ciò che abbiamo raccolto e imparato dai nostri maestri, dobbiamo trasmetterlo ai giovani, affinché possano continuare quella cosa che si chiama lavoro, attività in cui nessuno può dire di essere arrivato. Non si arriva mai. Ogni giorno ognuno di noi, anche il più bravo, impara qualcosa in più e quel qualcosa è ciò che ci fa crescere di continuo. La cultura del sapere è troppo importante per noi. Siamo noi gli artefici delle nostre azioni e per questo dobbiamo guardare al futuro.
È per tutti i motivi sopra citati che il nostro futuro sono i giovani. Sia i ragazzi del primo anno di scuola che si affacciano timidamente e pieni di preoccupazione alla loro prima esperienza lavorativa, sia i giovani che sono più affermati e che cercano uno spazio e un ruolo.
I giovani sono sempre stati il futuro e lo sono tanto più in un mondo come quello di oggi; dobbiamo far sì che lo siano sempre di più. Lo sforzo dev’essere maggiore. Ci dobbiamo realmente impegnare, perché i veri pericoli della globalizzazione rimangano fuori dalle nostre cucine. Bisogna far capire ai giovani che in un lavoro come il nostro vi sono elementi importanti, come il
gusto, i sapori, gli odori e che nessuna macchina, seppur sofisticata, può dare. Le cose vere che contano sono il parlarsi, la comunicazione, il condividere esperienze e sensazioni e il trasmettere tutto senza alcuna paura. Il nostro patrimonio culturale è fatto di capacità, di competenza, di saggezza, di fascino e soprattutto di stile.
Guardiamo quindi con ottimismo ai giovani, tenendo sempre presente quello che il passato ha rappresentato. Orazio diceva «laudator temporis», ossia colui che loda i tempi passati; un’espressione usata per indicare un brontolone che condannava il presente lodando il passato. Noi rispettiamo il sommo poeta Orazio, ma in questo caso e nel nostro lavoro pensiamo e comportiamoci diversamente.

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