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I piani di Hilton per l´Europa

C'è ottimismo sulle prospettive di espansione del gruppo americano nel Vecchio continente

C'è ottimismo sulle prospettive di espansione del gruppo americano nel Vecchio continente

Di Massimiliano Sarti, 9 Aprile 2015

Lo scorso gennaio Marriott International annunciò in pompa magna l’ambizioso obiettivo di raggiungere quota 1 milione di camere (operative e in pipeline) entro la fine di quest’anno. Pochissimi giorni dopo arrivò, immediata, la risposta di Hilton Worldwide che diramò una nota ufficiale sottolineando i propri record: «Siamo noi i numeri uno» dichiarò sostanzialmente la compagnia americana con base in Virginia, rafforzando la pretesa con i numeri del proprio portafoglio da 715 mila camere più una pipeline da quasi 230 mila stanze in fase di costruzione, rebranding e/o progettazione. Un botta e risposta a distanza, quello tra i due colossi dell’ospitalità, che è stato peraltro risolto salomonicamente dall’ultima top 10 globale dell’hôtellerie, pubblicata recentemente da Mkg Hospitality (si veda a questo proposito anche l’articolo a pagina 4, ndr): la classifica, in effetti, assegnerebbe al terzo incomodo InterContinental la palma di compagnia più grande del mondo, relegando i due “litiganti” al secondo e al terzo posto.
Ovunque stia la verità (i dati variano a seconda dei parametri presi in considerazione nel conteggio), quello che è certo è che, in un mercato dell’ospitalità globale entrato nuovamente in una fase di boom, è definitivamente ricominciata la corsa al «più grande si è, meglio è». E in tale contesto Hilton è sicuramente uno dei cavalli più forti in pista. Ma quali sono gli effetti dei piani di espansione del gruppo della Virginia a livello europeo? Il senior vice president development Europe & Africa di Hilton Worldwide, Patrick Fitzgibbon, prova a fornirci qualche dettaglio.
A fronte della consolidata presenza di un brand classico come Hilton Hotels & Resorts (152 strutture attive nel Vecchio continente per un totale di quasi 42 mila camere – tutte le cifre sono aggiornate al 31 dicembre 2014), le catene protagoniste della più recente espansione europea della compagnia risultano oggi essere Doubletree by Hilton, Garden Inn ed Hampton: ossia due brand focused service (un modo più glamour per dire select service) e uno full service. I numeri d’altronde parlano chiaro: appena sette anni fa in tutta Europa non esisteva neppure un Doubletree (il primo fu inaugurato a Cambridge solo nel 2008), mentre oggi se ne contano ben 54 con altre 46 strutture in pipeline nell’intera area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa). «Circa l’80% di tutti i Doubletree europei sono peraltro il frutto della conversione di hotel già esistenti», ci confida quindi Fitzgibbon. Un dato affatto di poco conto per una compagnia che mira a espandersi in un mercato maturo come la stessa Europa. Per quanto riguarda poi gli altri due brand, in area Emea sono attualmente attivi 36 Hilton Garden Inn e 31 Hampton, che però contano soprattutto su una consistente pipeline pari a 133 nuove strutture complessive.
Nel prossimo futuro, tuttavia, anche i nuovi Curio e Canopy by Hilton dovrebbero giocare un discreto ruolo nelle politiche di espansione del gruppo. Se però le strategie di sviluppo del marchio lifestyle Canopy sono ancora tutte da scoprire, con la prima delle sue strutture che dovrebbe aprire solo a fine 2015, Curio ha invece già pianificato il proprio esordio nel Vecchio continente: due hotel storici quali il tedesco Reichshof di Amburgo e il turco Rumeli Han di Istanbul sono infatti attualmente in fase di rebranding e dovrebbero riaprire sotto il logo del nuovo marchio Hilton rispettivamente nel 2015 e nel 2017.
Considerata la vocazione del brand Curio per gli hotel indipendenti, non è per la verità un caso che due delle sue prime strutture siano destinate a vedere la luce proprio in una realtà frammentata come il mercato dell’ospitalità europea. La questione, in questo caso, è un’altra e riguarda la natura da soft brand del nuovo marchio. Ci potrebbe infatti essere il rischio che i vecchi albergatori partner di Hilton possano vedere Curio come un’occasione per alcuni di accedere al potente network distributivo e alle ingenti risorse di marketing della compagnia americana, a prezzi e a condizioni tutto sommato più favorevoli rispetto alle proprie. Una preoccupazione, quest’ultima, che tuttavia non sfiora minimamente Fitzgibbon: «Prima di tutto perché la proposta Curio è destinata a essere assolutamente complementare al resto della nostra offerta, mirando a un segmento lusso preciso, posizionato subito al di sopra del target degli Hilton Hotels & Resorts e non ancora coperto dal nostro attuale portafoglio alberghiero».
Secondariamente, e forse in maniera più pertinente rispetto al punto in esame, «il progetto Curio non è stato pensato come un mero mezzo di espansione, ma come uno strumento per portare destinazioni dai tratti unici all’interno del perimetro della nostra offerta. Prova ne sia che sia il Reichshof sia il Rumeli Han stanno attualmente andando incontro a lavori di ristrutturazione del valore di svariati milioni di euro ciascuno». Come a dire che Hilton si impegna a essere sempre molto rigorosa nel momento in cui dovrà selezionare nuove proprietà da aggiungere al proprio portafoglio Curio.
Un’altra questione tutta europea è poi sicuramente quella del mercato russo: considerato un vero paradiso degli investimenti alberghieri fino a pochi mesi fa, il paese euro-asiatico sta ora attraversando un momento difficile a causa sia della crisi ucraina sia del crollo dei prezzi del petrolio, sua principale voce delle esportazioni. «Nel 2014 abbiamo inaugurato sette hotel in Russia, mentre quest’anno contiamo di aprirne altri sei», spiega però un Fitzgibbon apparentemente poco impensierito dalle tensioni geopolitiche: «Gli hotel sono investimenti di lungo periodo che non dipendono, se non in minima parte, dai cicli economici». Anche se il mercato russo si trova indubitabilmente in sofferenza, il manager Hilton confida insomma che le questioni internazionali si risolveranno presto o almeno in tempi sufficientemente rapidi da non compromettere gli investimenti della compagnia nel paese.
Un ottimismo generale che spinge quindi Fitzgibbon a vedere rosa nel futuro del proprio gruppo in Europa: «Attualmente stiamo lavorando insieme a molti investitori del Vecchio continente e la domanda per i nostri brand risulta decisamente alta tra tutti gli sviluppatori alberghieri». Normale quindi che la compagnia a stelle e strisce rimanga ferma nella propria politica asset-light, come dimostra il fatto che l’attuale pipeline Emea sia costituita in egual misura da contratti di franchising e di management. Anzi, i primi stanno addirittura guadagnando terreno anche in mercati tradizionalmente refrattari a tale modello di affiliazione come quelli italiano e tedesco. Ma il manager Hilton si lascia naturalmente aperta ogni possibilità: in particolare, in determinate circostanze, «ossia in destinazioni in cui sperimentiamo alcune difficoltà a entrare, non escludiamo il ricorso al cosiddetto key-money», ovvero a supportare con finanziamenti diretti eventuali investitori. Perché, in fondo, «operiamo tutti in mercati estremamente competitivi».

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