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Hotel e brand, quando il deal è di successo

Perché il rapporto di affiliazione sia vincente per entrambi, bisogna che le due parti condividano la medesima visione: ecco gli aspetti da considerare

Perché il rapporto di affiliazione sia vincente per entrambi, bisogna che le due parti condividano la medesi

Di Giovanni Angelini, 20 Luglio 2022

Attualmente, circa il 70% di tutti gli hotel a livello globale opera sotto le insegne di un brand di una compagnia alberghiera. Sempre più hotel indipendenti stanno stipulando accordi con operatori professionali e marchi dell’ospitalità per avere accesso alle strategie di marketing legate ai loro canali di distribuzione e agli strumenti di efficientamento operativo, considerando quelle che sono le crescenti sfide alle quali si trova oggi a dover far fronte un albergo indipendente. In questo contesto, naturalmente, le strutture ricettive con un posizionamento consolidato nei rispettivi mercati sono quelle che più facilmente rifiutano le proposte di adesione a un grande gruppo o catena alberghiera. Quando però, al contrario, un hotel desidera sottoscrivere un accordo con un marchio – che sia di management o di franchising – deve essere consapevole, per prima cosa, che si tratta di un rapporto legale complesso, che richiede la comprensione delle esigenze e delle priorità di entrambe le parti.
Ora più che mai, nell’epoca post-Covid, infatti, albergatori e investitori hanno bisogno di essere sicuri di essere associati al brand giusto, in particolare su aspetti come l’avere a disposizione una guida per il raggiungimento della massima qualità, dell’efficienza operativa – compresi gli aspetti che riguardano il contenimento dei costi – e del profitto. Il fatto che l’hotel sappia di poter contare su una piattaforma di distribuzione efficace, associata a un programma fedeltà di successo, al fine di generare business è fondamentale per la relazione tra albergo e marchio.
Gli investitori alberghieri, poi, hanno acquisito oggi buone skills che permettono loro di misurare il volume di business generato dall’appartenenza a un brand così come i relativi costi. E si aspettano dalle compagnie alberghiere i risultati: fascino e brand reputation non sono più sufficienti. Quello che l’hotel si aspetta è semplicemente un flusso di cassa sano. La domanda di base, quindi, è: il brand è in grado di generarlo?
Anche per questo, proprietari di hotel e investitori oggi cercano contratti basati principalmente su
commissioni di incentivazione calcolate sulla performance e sulla redditività e molto meno
su canoni fissi. Semplicemente, non c’è più spazio per i marchi guidati dal proprio “ego”, che caricano gli hotel di servizi e strutture non necessari, a spese dei proprietari. I test sulle prestazioni dei brand sono diventati elementi standard negli accordi e tendono a essere basati sulla RevPar, messa a confronto con il competitive set di riferimento, e sul margine operativo lordo conseguito rispetto al budget annuale approvato dal proprietario.
Dal punto di vista delle formule, sembra che il franchising continuerà a guadagnare terreno rispetto agli accordi di gestione. In generale, è bene tenere in considerazione che la negoziazione dell’accordo alberghiero – qualunque sia il suo taglio – può essere un processo lungo e complesso. E che la trattativa deve soddisfare le esigenze di entrambe le parti, altrimenti non c’è deal.
Infine, un’ultima riflessione: brand e proprietari d’hotel hanno bisogno l’uno dell’altro e se una certa “tensione” esiste sempre nella relazione tra le due parti, se entrambe condividono la medesima visione, maggiori sono le probabilità che si tratta di un rapporto di successo. D’altra parte, c’è un detto nel settore che dice: “Gli hotel hanno bisogno dei brand e i brand hanno bisogno degli hotel”.

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