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Haute cuisine di stampo italiano

Di Floriana Lipparini, 12 Maggio 2006

«Il mio obiettivo? Rendere il ristorante un ristorante, far dimenticare l’albergo. Dobbiamo sfatare il luogo comune che in Italia vuole i ristoranti d’albergo meno attraenti. A Milano i buoni locali sono sempre pieni, hanno moltissimo successo, quindi dobbiamo raggiungere lo stesso risultato all’Acanto, che ora è pronto per l’inaugurazione». Fiducia ed entusiasmo traspaiono dalle parole di Fabrizio Cadei, trentottenne executive chef del Principe di Savoia, giunto al maestoso e storico hotel dopo una già prestigiosa carriera che lo ha visto partire dalla natia Sarnico alla conquista del mondo, geografico e gastronomico.
Esordi da haute cuisine, al “Leon de Lyon” di Jean-Paul Lacombe, due stelle Michelin. Poi all’Hyde Park di Londra, dove conosce Ezio Indiani, attuale general manager del Principe. Ma spicca un volo ancora più lungo, giungendo fino all’Australia. Nel ’94 torna in patria, e precisamente all’hotel Eden di Roma, per aprire il nuovo ristorante che nel giro di un anno gli fa conquistare una stella Michelin e viene premiato come “Miglior ristorante d’albergo in Italia”.
Da tutte queste esperienze Fabrizio ha imparato moltissimo, e ogni volta qualcosa di diverso: «La fortuna mi ha fatto incontrare grandissimi maestri. In Francia ho capito quanto conta il rispetto del prodotto, alzarsi magari alle quattro di mattina per andare dal fornitore a scegliere tutto di persona. In Inghilterra ho approfondito l’aspetto manageriale. In Australia ho scoperto un altro mondo gastronomico: l’Asia con i cibi esotici, le spezie, il cocco».
Tornato in Lombardia con questo magnifico bagaglio, il giovane executive chef si appresta al compito forse più impegnativo svolto finora, anche se gli è capitato persino di dover coordinare cinque hotel per allestire un pranzo in onore della regina Elisabetta II e del principe Filippo, senza contare tutte le altre celebrità che hanno avuto la fortunata occasione di gustare i suoi piatti, da Bill Gates a Nicole Kidman.
Il bello di Fabrizio è la sua simpatica chiarezza di idee che non sembra alterata dall’importante ruolo conquistato. Al contrario, esperienza e professionalità si sposano a una tranquilla semplicità bergamasca capace di puntare alto senza perdere le misure della realtà. «Io vengo dal lago d’Iseo, dove si fa una cucina semplice e squisita, forse meno nota e sfruttata di altre tradizioni italiane – spiega -. A Monte Isola, che ci tengo a dirlo è l’isola di lago più grande d’Europa, si mangiano deliziosi pesci dal sapore delicato come il coregone, il lavarello, il pesce persico, il salmerino… a volte si avvicinano quasi al guto del branzino giovane. Il pesce, le verdure, i prodotti freschi, le cotture brevi o à la broche, l’olio d’oliva, il sottovuoto: questi sono i miei ingredienti preferiti, perché rispetto le stelle Michelin ma è chiaro che non si possono mangiare tutti i giorni piatti troppo elaborati. Del resto anche il grandissimo Alain Ducasse, che fa parte anche lui di Dorchester Group, sta semplificando».
Ora che il bel ristorante Acanto è aperto, trasformato da un restyling totale in uno spazio chiaro e luminoso con ingresso indipendente e vista su un giardino segreto (qui i grattacieli del centro direzionale sono praticamente invisibili), Fabrizio è pronto a mettere in atto la sua strategia. «Creare un ambiente esteticamente bello e accogliente, dove stare a proprio agio, è importantissimo. Usare belle ceramiche lineari che esaltano i colori e l’eleganza delle preparazioni. Il punto fondamentale, per me, è credere nella mia cucina e cercare di capire il cliente, i suoi desideri, che sono diversi se si tratta di un manager in viaggio di lavoro o di una famiglia. Quando preparo il pesce o un risotto, mi piace che vengano capiti, e non si nascondano sotto quegli ingredienti come la panna o il pomodoro capaci di rendere tutto uniforme. Ho l’ambizione di dare alla ristorazione del Principe il mio stile personale, portandola a un livello duraturo, non solo un explôit».
A capo di una brigata di cucina di 50 persone, e con l’ausilio di un bravissimo sous-chef e di un ottimo sommelier, curerà il miglioramento qualitativo del banqueting, seguendo personalmente gli eventi di grande prestigio ospitati nelle sale dell’hotel, e sovrintenderà anche al room service che offre 24 ore su 24 un menù molto ricco con proposte gastronomiche speciali.
«Lanciare un ristorante come questo richiede almeno cinque anni per raggiungere gli standard, e nei primi due occorre promuoverlo senza badare al ritorno dell’investimento. Ho in mente parecchie iniziative, in particolare penso alla chef’s table come si usa all’estero, un’idea cui tengo molto. Bisogna immaginare un tavolo più appartato, magari davanti alla bella cucina a vista, attrezzata per la prima volta in Italia dall’architetto Paul Valet. Qui, su richiesta dei clienti che lo desiderano, proporrò piatti speciali in cui lasciare libero corso alla creatività».

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