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Gli italiani hanno una marcia in più

La gestione del personale secondo la human resources manager di Grace Hotels, Tracey Battisti

La gestione del personale secondo la human resources manager di Grace Hotels, Tracey Battisti

Di Massimiliano Sarti, 30 Giugno 2016

Una questione di opportunità e prospettive, unite alla consapevolezza che gli italiani nell’ospitalità hanno davvero una marcia in più. «A livello internazionale, soprattutto nei paesi anglofoni, le politiche di coinvolgimento e di formazione sono estremamente strutturate e non lasciate, come spesso avviene dalle nostre parti, alla buona volontà dei singoli general manager o alla presenza di qualche direttore risorse umane particolarmente illuminato». Metà inglese, metà italiana, ma con salde radici culturali nel nostro paese dove ha trascorso la maggior parte della propria infanzia, Tracey Battisti è oggi human resources manager di Grace Hotels: gruppo di boutique hotel con sede a Londra* ma di origini elleniche, che vanta una dozzina di strutture in Grecia, a Marrakech, negli Usa, nonché in Centro e Sud America.
Si tratta di una compagnia a vocazione lusso, che intercetta una clientela di persone abbienti, di età compresa tra i 35 e i 55 anni, alla ricerca di un’ospitalità dai tratti più intimi e genuini di quella offerta dalle grandi major dell’hôtellerie. Un contesto internazionale nel quale Tracey ha potuto sperimentare in prima persona approcci alla gestione delle risorse umane al passo dei tempi contemporanei «All’estero si parte spesso da presupposti diversi rispetto a quanto avviene in Italia. Io tra le altre cose insegno anche in due istituti romani come la Luiss e l’Ihma e mi rendo conto di quanto sia difficile per i nostri migliori giovani trovare in patria un posto realmente soddisfacente: provano, fanno stage su stage e sperano che prima o poi si apra loro un’opportunità. Altrove invece c’è una vera e propria caccia al talento: sono le aziende stesse che vanno nelle scuole alberghiere a cercare gli studenti più promettenti. Non è un caso per esempio che i principali istituti di formazione svizzeri abbiano siglato una serie di partnership con alcuni grandi gruppi dell’hôtellerie. In questo modo, i loro allievi trovano subito posizioni adeguate alla loro formazione e accedono in brevissimo tempo ai ruoli di middle management. Anche solo in un paio di anni. Da noi è davvero una cosa impensabile».

Domanda. Non ritiene che questo sia un problema dovuto pure alla frammentarietà del nostro mercato, fatto di molte piccole e medie aziende?
Risposte. In parte sì. Ma è anche un problema di scarso turnover. Tanti colleghi, persino dal grande talento, tendono a rimanere fermi nel loro ruolo per dieci-quindici anni, senza sperimentare altre situazioni o semplicemente altri comparti. E così diminuiscono le chance di crescita.

D. Paura di uscire dalla cosiddetta comfort zone?
R. Senz’altro è una spiegazione che vale per alcuni. Io ritengo però che il problema sia ancora una volta più dal lato dell’offerta, piuttosto che da quello della domanda.

D. In poche parole, mancano le opportunità.
R. Proprio così. Ed è un handicap notevole soprattutto per le nuove generazioni: i millennial hanno avuto una formazione invidiabile, sono stati cresciuti condividendo spesso le responsabilità con i propri genitori. Hanno quindi bisogno di essere continuamente stimolati, di avere la consapevolezza di trovarsi in un luogo di lavoro dove possono crescere. Non vogliono aspettare 15-20 anni, in attesa che si liberi un posto di responsabilità adatto a loro, come hanno fatto molti dei manager delle generazioni precedenti. Ai millennial servono sfide, anche se si tratta solo di piccoli progetti su cui mettere alla prova le loro capacità.

D. Per offrire opportunità di carriera a una risorsa, occorre però essere in grado di misurarne talento e performance. Su quali programmi può oggi contare un responsabile hr?
R. Da noi in Grace Hotels, lo strumento principale è sicuramente rappresentato dai colloqui valutativi periodici, che vengono condotti a tutti i livelli della piramide d’impresa. Si tratta di un momento importante, durante il quale ogni risorsa si confronta in maniera sincera con il proprio diretto superiore, solitamente alla presenza di un collaboratore delle risorse umane. E questo perché il contesto è particolarmente delicato. Va quindi affrontato liberandosi da ogni questione personale e puntando esclusivamente sulle evidenze dei fatti concreti. Si giunge così a stabilire quali e quanti obiettivi personali sono stati raggiunti, si trova la motivazione alla base di eventuali piccoli e grandi successi o fallimenti, e si stabiliscono infine nuovi traguardi, possibilmente supportati da programmi formativi ad hoc. Un altro strumento essenziale è poi l’indagine di clima annuale: un sondaggio web anonimo in cui i collaboratori sono liberi di esprimere la propria opinione sui capi, sull’azienda e sull’ambiente di lavoro. Ma sono utili pure i questionari di gradimento compilati dai clienti, nei casi in cui si evidenzino performance ottimali oppure reiterate segnalazioni negative in determinati comparti: una spia che ci spinge a intervenire immediatamente, magari con qualche programma formativo tagliato sulle esigenze della specifica situazione.

D. Ma davvero le risorse italiane sono così ricercate all’estero?
R. Assolutamente sì. Sono convinta che, nell’ospitalità, abbiamo una marcia in più. Vede, negli anni i grandi gruppi americani hanno introdotto e diffuso il sistema degli standard, che oggi è diventato il pane quotidiano anche degli hotel più piccoli. In tale contesto fatto di regole e procedure, la nostra grande capacità consiste nel saper metter quella dose di creatività necessaria a rendere il servizio più autentico e meno ingessato. Che poi è proprio quello che cercano gli ospiti di oggi.

D. Perché allora sono ancora relativamente pochi i nostri connazionali che si recano all’estero a lavorare?
R. Al di là delle considerazioni personali, relative al desiderio o meno di uscire dai propri confini, esistono in effetti ancora alcune barriere difficili da superare. Soprattutto in termini linguistici: troppi dei nostri connazionali non conoscono neppure l’inglese in modo accettabile, mentre il nostro settore pretende ormai la padronanza di almeno due o tre lingue straniere.

D. E gli stipendi? Anche all’estero i compensi dell’ospitalità sono inferiori alla media degli emolumenti percepiti in altri comparti?
R. Purtroppo da questo punto di vista le cose non sono molto differenti. Tuttavia il mercato britannico, per esempio, mostra particolari segnali di fermento. Ed esistono delle posizioni estremamente ricercate, per cui si innesca una vera e propria gara al talento che genera possibilità di remunerazioni davvero interessanti. Se si è disposti a recarsi in regioni come il Medio o l’Estremo Oriente, inoltre, gli stipendi salgono ulteriormente. Certo, nel primo caso la selezione è davvero feroce, mentre nel secondo, una volta specializzatisi in mercati lontani, non è poi sempre facile tornare indietro.

D. In tale contesto come si fa allora a trattenere le risorse migliori?
R. È forse la parte più interessante e stimolante per chi si occupa come me di risorse umane. Le strategie sono tante. Per i millennial come dicevo è soprattutto una questione di stimoli. In generale tuttavia, si tratta di costruire un ambiente di lavoro piacevole, che sappia, ove possibile, venire anche incontro alle esigenze dei collaboratori in termini di flessibilità ed equilibrio casa-lavoro. La professione dovrebbe infatti essere vissuta in funzione della propria vita e mai viceversa. Ma sono importanti anche le iniziative di coinvolgimento, quali feste e giornate speciali, nonché la capacità di mantenere relazioni più informali tra la base e i vertici della piramide organizzativa, in modo da accorciare il più possibile le distanze tra management e collaboratori. La sfida, per il nostro settore, è insomma quella di creare ambienti più remunerativi non solo in termini di mera retribuzione, ma anche di riconoscimento e soddisfazione personale.

*L’intervista è stata condotta alla vigilia del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea. A causa della nebulosità in cui sono ancora avvolti i potenziali effetti della cosiddetta Brexit, abbiamo ritenuto opportuno non affrontare in questa sede l’argomento. Torneremo però senz’altro a occuparcene con approfondimenti ad hoc nei prossimi numeri di Job in Tourism.

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