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Flessibilità, personalizzazione, formazione: è l’epoca della “me economy”

Dalla centralità dei bisogni del singolo alle esigenze di flessibilità e formazione passando dal rapporto con l'AI e tra le diverse generazioni: ecco le caratteristiche dell'economia che vede al centro l'individuo

Dalla centralità dei bisogni del singolo alle esigenze di flessibilità e formazione passando dal rapporto c

Di Job in Tourism, 3 Aprile 2024

Un nuovo valore attribuito alle scelte individuali, al lato umano del lavoro, alla conciliazione tra vita lavorativa e vita personale: quelli che sono i criteri che, dalla pandemia in poi, hanno riplasmato molte delle dinamiche del mondo del lavoro e delle risorse umane, hanno ora un nuova etichetta che le riassume e che va sotto il nome di “me economy”. Ovvero, l’economia che mette al centro l’individuo.

Flessibilità e personalizzazione

La ricerca The Age of Adaptability di ManpowerGroup, diffusa nelle scorse settimane, ha analizzato le caratteristiche della “me economy” applicata al mondo del lavoro. A emergere è, innanzitutto, la tendenza dei lavoratori nelle loro scelte di carriera a dare priorità all’equilibrio tra lavoro e vita privata, privilegiando flessibilità e autonomia, e ad aspettarsi una maggiore personalizzazione del loro rapporto con l’azienda.

Non a caso, i tre aspetti più ricercati dai candidati sono una settimana lavorativa di quattro giorni (per il 64%), poter scegliere inizio e fine dell’orario di lavoro (45%) e la possibilità di lavorare da casa (35%). Inoltre, il 60% dei lavoratori più giovani, quelli appartenenti alla cosiddetta Generazione Z (i nati tra la metà degli anni Novanta e l’inizio degli anni Dieci) si aspetta che i propri datori di lavoro forniscano percorsi di sviluppo di carriera personalizzati con un orientamento regolare, mentori qualificati e piani di progressione trasparenti e personalizzati in base agli obiettivi personali.

Il rapporto tra generazioni

La ricerca mostra, inoltre, come la Gen Z – di cui entro il 2030 farà parte il 58% dei lavoratori – stia cambiando scelte e aspettative anche dei lavoratori di altre generazioni: il 93% dei “senior” afferma di essere stato in qualche modo influenzato dai colleghi ventenni su vari ambiti: il confine fra lavoro e vita privata (per il 78% degli intervistati), l’apertura verso nuove tecnologie (76%), il desiderio di successo professionale (76%), una paga equa per il lavoro corrisposto (75%) e il coinvolgimento dei datori di lavoro nelle questioni sociali (71%).

Gli effetti dei cambiamenti demografici

La convivenza di diverse generazioni sui luoghi di lavoro – evidenzia lo studio – crea però anche problemi organizzativi, nell’ambito di un generale invecchiamento e restringimento della forza lavoro nelle economie sviluppate. Da un lato la perdita di conoscenze generazionali da parte dei baby boomer che vanno in pensione, dall’altro gli zoomer che cercano competenze aggiornate che combinino tecnica e aspetti interpersonali. In mezzo, i lavoratori a metà carriera che devono riqualificarsi per nuovi ruoli. Reskilling mirato e mentorship sono gli strumenti indispensabili, che aiutano a colmare il divario di talenti tra le varie generazioni.

La centralità della DE&I

Diventa, inoltre, sempre più importante e addirittura conveniente per le organizzazioni investire sui temi della diversity & inclusion: la ricerca rileva che le aziende con alti livelli di diversità hanno avuto il 39% in più di probabilità di superare quelle con una minore diversità interna e che i talenti migliori danno sempre maggiore priorità a lavorare in un ambiente inclusivo.

Il ruolo dell’AI

Lo sviluppo tecnologico e dell’intelligenza artificiale sarà, infine, un altro trend fondamentale: si apriranno opportunità per svolgere lavori più significativi, ma a condizione di avere le giuste competenze e preparazione. Per le aziende le sfide principali riguardanti l’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro saranno formare i lavoratori per sfruttare le potenzialità dell’IA e trovare lavoratori già qualificati. Quasi 3 organizzazioni su 4 (71%) stanno attualmente o attivamente pianificando di utilizzare l’AI conversazionale nel loro processo di reclutamento. La maggioranza dei datori di lavoro (58%) ritiene che l’intelligenza artificiale e la virtual reality avranno un impatto positivo sull’organico della loro organizzazione nei prossimi due anni.

 

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