Raffinate foto in bianco e nero che mostrano una Milano d’antan, quella elegante e intensa di Giuseppe Verdi, il colore invece è riservato alle camere, ai particolari, un vaso, una scalinata, una finestra. Il prezioso cartoncino “conqueror connoisseur 100% cotton”, un piacere toccarlo, è usato per i menù, le buste, tutto il collateral necessario alle relazioni fra il cliente e l’hotel. Al Park Hyatt Milano, non v’è dubbio, il focus è sulla comunicazione.
«Comunicare la nostra identità, il nostro particolare stile per noi è essenziale. Tutto è pensato in quest’ottica, dal tavolino disegnato a mano appositamente per noi, al piattino in porcellana di Limoges fuori produzione o agli oggetti creati da Armani e alla scelta di uno specifico tipo di carta – conferma il direttore Claudio Ceccherelli. – È la filosofia dell’hotel che tutto il team condivide, ci riuniamo per decidere insieme affinché vi sia coerenza in ogni particolare».
Stile di relazione cordiale e attento, il toscano Claudio Ceccherelli, giunto all’Hyatt dal mitico Villa d’Este, è il punto di riferimento di questa splendida location 5 stelle lusso aperta da soli tre anni, unica struttura italiana della compagnia. Un primo bilancio è già possibile.
«Tre anni sono il periodo minimo per vedere la differenza fra alto livello ed esclusività, il passaggio non è di poco conto. Fino a tre anni fa Milano non dava scelta nel lusso, ora con Hyatt c’è scelta, quindi c’è concorrenza: e questo è sempre un vantaggio per la clientela. Confesso la mia gioia nel vedere che il feedback funziona , vedere le persone che tornano. Questo si ottiene comunicando emozioni, creando la giusta atmosfera. Le persone che vengono da noi sono avvezze a un certo stile di vita, quando vengono in hotel è impensabile che non possano permettersi quello che si permettono a casa, anzi dobbiamo dargli ancora di più. Solo così si crea un legame di fedeltà», spiega.
Poter contare su collaboratori in grado di condividere gli obiettivi di eccellenza con la stessa passione è sicuramente determinante, in una struttura come questa. E Ceccherelli si è saputo circondare di persone entusiaste e competenti, che valorizzano al massimo grado lo stile di comunicazione del brand. Anna Montanaro, Guests relation manager, una giovane signora di Pavia appassionata di viaggi, che aveva collaborato con il direttore già al Villa d’este, è particolarmente impegnata su questo piano.
«Ho un ruolo piuttosto ampio, scelgo il layout di ogni comunicazione, decido l’impostazione da seguire, naturalmente sulla base delle indcazioni di massima che ci vengono dalla compagnia – racconta. – Per la nuova brochure abbiamo puntato molto sulle emozioni. Foto a tutta pagina che dicono sull’hotel più di lunghi testi. Chi ha voglia di mettersi a leggere? Le immagini sono molto più immediate. In tutto noi perseguiamo una ricerca di eleganza adeguata all’identità del brand, con un controllo minuzioso, quasi estenuante, di tutto ciò che va davanti al cliente, dalla carta al carattere di stampa, specifico per noi. La compagnia ora ha persino attivato un proof-reading service on line, un rigoroso controllo dei testi in inglese, dalla lista della lavanderia al menù del ristorante, ogniqualvolta un reparto deve creare un documento. Li elaboriamo qui in sede, poi li spediamo per e-mail e alcuni specialisti di madrelingua inglese ce li rimandano nel giro di 12 ore, corretti alla perfezione, senza quelle piccole imprecisioni che chi non è anglofobo potrebbe commettere. Ogni servizio, ogni particolare deve essere garbato, unico, come la nostra spa, che offre anche a clienti esterne all’hotel trattamenti esclusivi. Molte milanesi scelgono di venire nel nostro centro wellness anche solo per l’atmosfera, per il tipo di accoglienza, la bellezza del luogo, un tè servito in una tazza raffinata, la musica… ».
Ma l’attenzione alla comunicazione qui è importante in ogni reparto, per Simone Giorgi, Food & Beverage director, anche lui toscano, vivace e dinamico, «la comunicazione è tutto, all’interno dell’hotel e all’esterno. In uno staff comunicare bene è essenziale, per me è una forma di problem solving. Io del resto sono proprio portato alle relazioni interpersonali, all’apertura, voglio sempre andare oltre, in prima linea. Al Park Hyatt Milano anche su questo mi sento perfettamente in sintonia, due anni di lavoro trascorsi qui equivalgono a dieci anni altrove».
In Italia non è facile, tuttavia, superare una certa diffidenza per i ristoranti d’albergo, persino ad alti livelli. Anche in questo può aiutare la comunicazione? «Il prodotto è importante ma la differenza la fanno le persone: vado lì perché c’è uno bravo. Il ristorante è il mal di testa di tutti gli albergatori, poco profitto e tanto da investire, si dice sempre. Ancora questa sindrome non è passata del tutto, ma sta cambiando. Noi con l’ingresso laterale esterno la superiamo, l’impatto è diverso. Su cosa puntiamo? Sulla qualità dei prodotti, sul brand, sulla qualità del servizio. Organizziamo quattro grandi eventi l’anno, uno per stagione, legati alla presenza di star, di cuochi stellati Michelin, o di specialità etniche, come la serata sushi. Poi, ogni domenica, serviamo il brunch a un prezzo contenuto, però in Italia non hanno ancora capito bene cos’è. Arrivano alle 13 e magari chiedono le lasagne», conclude sorridendo.
E per il Director of sales Edoardo Officioso, salito dal quartiere Ponticelli di Napoli
fino alle vette dell’Hyatt, dopo un bel viaggio professionale in varie parti del mondo che gli ha consentito di parlare cinque lingue, quanto conta la comunicazione?
«La promozione di un prodotto alberghiero ai massimi livelli del lusso richiede una duplice funzione. Da un lato devi avere la capacità di fare una “radiografia” degli addetti ai lavori, l’intermediazione, le agenzie, devi far sapere agli americani quanti metri quadrati ha il bagno, tra parentesi i nostri sono grandissimi, e ai russi la grammatura del cibo, perché sono abituati ai loro ristoranti dove è indicata. Dall’altro devi saper trasmettere l’immagine del brand, suscitare emozione, desiderio. Qui siamo aiutati da direttive ben precise impartite della Compagnia, pur rispettando le identità locali. Hyatt, con i suoi quattro sottobrand differenti, è vincente proprio anche grazie alla sua comunicazione raffinata e accattivante. Molto viene dall’origine della famiglia proprietaria, i Pritzker, emigrati negli Stati Uniti dalla Russia nell’Ottocento. Jay Pritzker nel 1957 acquistò l’Hyatt House hotel di Los Angeles, il primo di una catena di hotel che oggi rappresentano il lusso ai quattro angoli del mondo. Filantropi e mecenati, hanno sempre dimostrato grande sensibilità verso le arti e l’architettura, in particolare con il premio Pritzker che dal 1979 ogni anno viene assegnato a un architetto illustre tramite la fondazione Hytt. Il secondo italiano a riceverlo è stato Renzo Piano. Hyatt esprime rispetto per l’ambiente e la cultura locale, e nel nostro hotel lo si vede bene. C’è la cultura italiana qui nel Lobby lounge, c’è Milano in questa agorà sotto la cupola della Galleria, con le sedute basse di eleganza ottocentesca ma in stile contemporaneo. E nella nostra comunicazione in bianco e nero, come le foto ricordo, c’è la memoria».
Emozioni in bianco e nero
Di Floriana Lipparini, 17 Febbraio 2006

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