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Elogio della cultura del recupero

Passatelli, banane e zuppa di pane al centro dell'intervento di Bottura a Identità Golose

Passatelli, banane e zuppa di pane al centro dell'intervento di Bottura a Identità Golose

Di Massimiliano Sarti, 26 Febbraio 2015

Cosa hanno in comune una copertina dei Velvet Underground griffata Andy Warhol, il Messico e delle banane stramature, praticamente da buttare? Apparentemente nulla, ma non per Massimo Bottura: «Scartare significa arrendersi e non essere in armonia con il mondo. Dobbiamo stare in silenzio, in ascolto, e imparare la lingua delle cose che ci circondano», ha dichiarato, in conclusione del suo intervento a Identità Golose, lo chef modenese dell’Osteria Francescana davanti a una sala gremita sino all’inverosimile.
E proprio dalla fine è giusto partire, perché di recupero ha parlato per tutto il tempo Bottura: «La nostra cultura alimentare si è formata attorno alle necessità della sopravvivenza: il recupero in Italia ci è sempre appartenuto. Non è una cosa volgare. Solo il consumismo lo ha reso tale». L’esempio classico è quello dei passatelli, originariamente niente altro se non il frutto della raccolta paziente delle briciole di pane avanzate durante la settimana. Da qui l’ispirazione per una variante realizzata con le bucce di patate, di topinambur e di sedano rapa: quello che si può trovare, insomma, nella spazzatura di una cucina qualsiasi. Tostate e messe in forno, se ne estrae il sapore e si ottiene così un brodo di bucce, simbolo della sfida quasi epica di ogni chef: «Rendere visibile l’invisibile». Ma non finisce qui: dalle stesse bucce si può ottenere anche la farina, da mescolare alle uova, cuocere al vapore e affumicare un poco, in modo da «dare il senso della famiglia». E allora il cerchio si chiude: dai passatelli tradizionali, fatti con i rimasugli del pane, a una variante d’autore, ma pur sempre ricavata dagli scarti.
Può apparire un controsenso che un tre volte stellato Michelin parli di recupero e di cultura dello scarto. Ma è il modo in cui lo chef modenese prova a rifuggire dall’imperante «superficialità glamour» della cucina contemporanea. «Noi possiamo porci a metà strada tra coloro che hanno tutto e chi non ha niente», ha spiegato un Bottura in versione compiutamente francescana. In fondo, «il desiderio fondamentale dell’uomo è quello di valere qualcosa per qualcuno… Lo diceva Hegel».
E non sono solo parole, visto che proprio lo chef dell’Osteria Francescana è l’ispiratore del Refettorio ambrosiano: un’iniziativa ideata insieme all’ex presidente della Triennale, Davide Rampello, che aprirà in concomitanza con l’inaugurazione di Expo 2015 per aiutare le persone in difficoltà, con la collaborazione della Caritas locale. Ricavato dal recupero dello storico teatro milanese di Greco, nella più profonda periferia meneghina, lo spazio è stato realizzato grazie all’intervento del Politecnico di Milano e arricchito dalle opere di numerosi artisti e designer italiani, ispiratisi al modello ideale del refettorio di Santa Maria delle Grazie: quello dell’Ultima cena di Leonardo Da Vinci, giusto per intenderci. Ma l’unione tra cultura, bellezza e sostenibilità sarà celebrata anche da 4o chef, tra i migliori al mondo, che per un mese ideeranno e prepareranno per lo spazio gestito dalla Caritas una serie di menu ad hoc, a partire dalle eccedenze alimentari raccolte ogni giorno all’Esposizione universale.
Ed è proprio dedicata al Refettorio ambrosiano un’altra delle creazioni presentate da Bottura a Identità Golose: un dessert ricavato da briciole croccanti saltate con lo zucchero, una spuma di latte miscelata con pane e un gelato ancora di latte e zucchero, ricoperto da un grande cristallo dorato dello stesso alimento dolcificante. Di nuovo una rivisitazione di un piatto del popolo: la zuppa di latte e pane raffermo. E quella doratura superficiale? «Il pane è oro», afferma Bottura, che insiste: «Oggi fare un piatto con pane, acqua e zucchero vuol dire essere allo stesso tempo un cuoco semplice ed evoluto». D’altronde l’arte del recupero ha sempre fatto parte del lavoro all’Osteria Francescana: «Fino al 2008 da noi c’era una sola porta d’ingresso», ricorda lo chef. «Da lì entravano e uscivano le persone, noi della cucina, ma anche il pattume, di nascosto. Un bel problema, che però ci ha insegnato tanto in tema di riduzione dello spreco».
Certo, per nobilitare gli scarti ci vuole una certa genialità. Ma per Bottura, non diversamente che per molti altri chef suoi colleghi, l’ispirazione può giungere in ogni momento. Anche da una passeggiata per le strade di Brooklyn, a New York; da un incontro casuale con una copertina di un disco in vinile dei Velvet Underground su cui campeggia una banana di Warhol; e da un tweet social, che rimbalza subito dall’altra parte dell’oceano: «Al ritorno dalle vacanze, Andrea, che è al mio fianco da dieci anni, si presenta con una cassetta di banane: al mercato stavano per buttarle via, ora proviamo qualcosa, dice». Ed ecco, immediata, la folgorazione: «Durante una cena straordinaria al messicano Pujol, Enrique Olvera (lo chef di questo celeberrimo ristorante della capitale centro-americana, ndr) mi parla a fondo della cultura della banana matura». Il risultato finale? Un gelato «pesto di cemento» estratto dalla buccia e arricchito da habanero, alghe e distillato di banana, in un viaggio sensoriale che, oltre al Messico, richiama anche i sapori della Ceviche peruviana. Perché, prima di giudicare, occorre ascoltare, acquisire la cultura necessaria a comprendere le cose. Anche di un alimento improbabile come una cassetta di banane stramature e acide. Insomma: «Peel slowly and see», sbuccia lentamente e guarda, come è stampato, affatto a caso, sulla copertina di Warhol.

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