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E non chiamatelo più extralberghiero

Un comparto che reclama a gran voce un ruolo da protagonista in un mercato in rapida evoluzione

Un comparto che reclama a gran voce un ruolo da protagonista in un mercato in rapida evoluzione

Di Massimiliano Sarti, 10 Dicembre 2015

Uberizzazione: prende direttamente il nome dalla famosa piattaforma di noleggio di auto con autisti uno dei fenomeni economici più dirompenti degli ultimi anni. Così viene infatti oggi chiamata la comparsa improvvisa sul mercato di nuovi player, in grado di sconvolgere le regole vigenti: operatori che si muovono in contesti e con modalità assolutamente diverse rispetto al “normale” comportamento degli altri competitor, servendosi solitamente delle potenzialità inesplorate del web 2.0 per sovvertire qualsiasi agire codificato. Un trend di portata globale, che vede tra i settori maggiormente coinvolti proprio l’industria della ricettività, sempre più interessata dallo sviluppo di nuove e vecchie forme di accoglienza.
E proprio dei prossimi scenari della ricettività in appartamento, e della necessità di relativa regolamentazione, si è recentemente parlato a Milano in un convegno promosso da Rescasa Lombardia (Federazione italiana residence) e dall’Anbba (bed & breakfast, affittacamere, case vacanze). Già il titolo dell’evento rappresenta, da solo, un vero manifesto programmatico: «E non chiamatelo più extralberghiero» traduce infatti tutta la volontà di una categoria che non ha più intenzione di essere rinchiusa in recinti marginali, ma che reclama a gran voce un ruolo da protagonista nel contesto di un mercato dell’ospitalità in rapida evoluzione. Una richiesta tangibile, resa particolarmente visibile dal folto pubblico presente all’evento, composto da una folla entusiasta di titolari di appartamenti, residence, b&b…
D’altronde i dati parlano chiari (a questo proposito si veda anche il box nella pagina successiva, ndr): secondo la Anbba, sarebbero infatti circa 3.600 le case vacanze «non imprenditoriali» e oltre 1.800 i b&b sul suolo italiano, per un totale di oltre 5.400 strutture ufficiali gestite da privati. Un’offerta in grado di generare un business che si aggira intorno agli 80 milioni di euro. Se a tale proposta si aggiunge poi il novero delle strutture professionali (circa 2 mila), il giro di affari supera di gran lunga i 150 milioni di euro. Un comparto insomma affatto trascurabile che rivendica pienamente il proprio ruolo: «Io sento discutere spesso di abusivismo e di illegalità. In realtà molte volte si parla senza la giusta padronanza delle leggi», ha così dichiarato il presidente di Rescasa Lombardia, Raffale Paletti. «Meglio allora conoscerci meglio e cominciare a parlare assieme». Di fronte al dilagare della sharing economy, occorre insomma «trovare un minimo comun denominatore, che ci consenta di affrontare il nuovo con regole condivise».
E proprio in tale contesto si inserisce la legge sul turismo lombarda approvata proprio poche settimane fa: una normativa che soddisfa appieno gli operatori dell’extralberghiero, o delle temporary home, come ha suggerito di chiamare il settore lo stesso Paletti. Dal Lazio, invece, denuncia il presidente nazionale Anbba Marco Piscopo, «viene la lezione di quello che non si deve fare. Roma ha infatti ben pensato di obbligare i b&b a chiudere 120 giorni l’anno per stare sotto la soglia della categoria professionale: sono prevalse logiche di lobby, per agevolare gli alberghetti di 2 o 3 stelle. Ma non funziona, perché il turista ha esigenze diverse. In compenso si è dato un brutto colpo a tante famiglie che avevano trovato una soluzione alla crisi, alla depressione, alla fuga dei figli per mancanza di lavoro». Ma cosa piace tanto agli operatori della nuova legge lombarda? Sicuramente la possibilità di gestire in maniera non imprenditoriale fino a tre immobili diversi. Ma anche la libertà di segnalare l’interruzione dell’attività nel momento più congeniale alle famiglie, alcune agevolazioni fiscali, nonché gli strumenti di autodisciplina, «di cui peraltro Anbba si è già dotata autonomamente da tempo», ha fatto notare sempre Piscopo. «In una parola, noi troviamo in questa legge uno strumento buono: un valido compromesso tra gli hotel e l’emergente ricettività diffusa, particolarmente apprezzata dal turista globale».
Al convegno era presente anche l’assessore al Turismo della Lombardia, Mauro Parolini, che ha comprensibilmente accettato di buon grado i complimenti: «Di fronte a un contesto nuovo abbiamo cercato di rispondere con strumenti più adeguati: la legge sancisce quindi che, chi fa della ricettività un’attività occasionale, lo può fare senza obbligo di iscrizione alla Camera di commercio». La logica? Normare in modo differente, attività molto diverse tra loro, senza pretendere che le case vacanze, per fare solo un esempio, abbiano le stesse caratteristiche di un hotel. «Le nostre sono norme generali, commisurate alla dimensione delle attività praticate», ma al contempo in grado di garantire una serie di principi di base, quali le comunicazioni relative all’attività, il rispetto delle norme di sicurezza e il pagamento della tassa di soggiorno.
Tutto ciò, almeno in linea teorica, visto che il comparto è ancora in attesa delle misure attuative: «Le parole dell’assessore ci confortano», ha quindi osservato il titolare dell’Hotel Spadari al Duomo, Piero Marzot, in rappresentanza della propria categoria come consigliere di Federalberghi Milano. «Noi non abbiamo mai preteso regole rigide e uguali per tutti. Anche noi abbiamo norme diverse per strutture di categorie differenti. Ma si tratta pur sempre di principi in grado di assicurare la concorrenza». Ben venga quindi che le piccole imprese siano tutelate, «ma quando queste si presentano su mercato veicolate da piattaforme online di portata globale, la percezione del cliente non è più quella di trovarsi di fronte a delle pmi, bensì a un’offerta aggregata di notevoli dimensioni e capace di svilupparsi su più destinazioni». Ancora una volta, insomma, è l’uberizzazione a spostare i confini e a trasformare i protagonisti in nuovi soggetti, diversi da quelli di un tempo. Compito del legislatore, suggerisce Marzot, è allora quello di non sottovalutare tali cambiamenti, limitandosi a considerare piccolo ciò che la sharing economy ha cambiato sostanzialmente di natura.

Lo scenario

Grazie anche all’effetto Expo, nel solo 2015 l’offerta di Airbnb su Milano è cresciuta del 108%, arrivando a superare i 13 mila annunci. Peraltro pure a livello ufficiale, ossia con riferimento alle sole imprese iscritte alla Camera di commercio, l’extralberghiero ha sorpassato simbolicamente l’offerta degli hotel, arrivando a rappresentare il 51% del totale delle strutture presenti in città. Interessante, nei dati presentati dall’amministratore di R&d Hospitality, Giorgio Bianchi, appare però soprattutto il confronto con le altre città europee: a fare da punto di riferimento è questa volta Booking.com, secondo cui a Milano l’offerta ricettiva non alberghiera rappresenterebbe circa l’80% del totale delle strutture presenti. Una percentuale piuttosto elevata, ma che non si discosterebbe affatto da quella di un’altra grande città europea come Barcellona, mentre a Roma tale quota arriverebbe addirittura all’88%. Diverso invece il discorso in altre capitali quali Londra e Parigi, nelle quali la percentuale di hotel sale al 30%-40% dell’offerta complessiva di strutture ricettive. Quale che sia la ragione dell’espansione di tale fenomeno, appaiono comunque evidenti due trend apparentemente contrastanti: da una parte, ha spiegato Bianchi, “la forte frammentazione di un comparto non caratterizzato da standard di qualità, sicurezza e servizi comuni” e da un’altra il crescere però “dell’interesse verso l’extralberghiero da parte di operatori e investitori internazionali”.

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