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Dynamic pricing e Ota? Si può fare senza

Il successo del villaggista romano Veratour si basa su strategie old-style unite a una buona capacità di leggere il mercato

Il successo del villaggista romano Veratour si basa su strategie old-style unite a una buona capacità di le

Di Massimiliano Sarti, 23 Febbraio 2017

Prezzi fissi da catalogo per tutto l’anno, ma con garanzie di best available rate nei rari casi di tariffe scontate sotto data. Nessuna distribuzione online né vendita diretta, la commercializzazione essendo unicamente veicolata tramite le agenzie di viaggio tradizionali. Focus esclusivo, infine, sulla domanda domestica, con strutture in Italia e all’estero completamente dedicate ai turisti della Penisola. A sentire le strategie Veratour sembra quasi di fare un viaggio indietro nel tempo… Eppure l’operatore romano specializzato nella villaggistica, che si considera più compagnia alberghiera che tour operator, ha numeri da fare invidia alla maggior parte degli hotelier di oggi: i suoi bilanci, ininterrottamente positivi da 27 anni a questa parte, hanno raggiunto nel 2016 un profitto netto di 6,3 milioni di euro, crescendo di oltre il 49% rispetto al 2015.
E non che Veratour non abbia attraversato momenti difficili. Anzi: ancora l’anno scorso il fatturato complessivo della compagnia registrava un calo del 5,62% a quota 177 milioni. Segno che il miglioramento degli utili è stato soprattutto frutto di un grande lavoro sul lato costi (ma non quelli del personale, che sono rimasti pressoché invariati, ndr), nonché sul riposizionamento del prodotto verso segmenti a maggiore profittabilità. Non diversamente dal resto dei tour operator nazionali, Veratour ha d’altronde dovuto affrontare la crisi profonda di due destinazioni chiave per l’outgoing italiano: nel 2010 Egitto e Tunisia contribuivano al 35,4% del fatturato totale dell’operatore capitolino. Oggi gli stessi due paesi pesano per meno del 3,3%. Una rivoluzione copernicana, garantita dallo spostamento progressivo dell’offerta verso mete dalla maggiore sicurezza percepita. «E sa cosa abbiamo scoperto?», rivela il direttore generale Veratour, Stefano Pompili. «Che i consumatori, pur di viaggiare in zone safe, sono oggi disposti a pagare anche il 30%-40% in più».
L’offerta del gruppo si compone quindi ora di una quarantina di villaggi Veraclub e VeraResort International, presenti in Italia, ma anche nel resto dell’area mediterranea, nonché sul Mar Rosso, negli Usa, nei Caraibi e sull’Oceano Indiano. Due strutture sono di proprietà, i sardi Costa Rey e Suneva, mentre le restanti sono prevalentemente gestite con contratti di management (ibridi) o di affitto, fatta salva qualche eccezione in location importanti, dove Veratour si limita ad avere i diritti di commercializzazione in esclusiva (ma con un capitolato importante in termini di standard e servizi). A tutto ciò si affianca poi la divisione tour operating che, coerentemente con il processo di riposizionamento verso l’alto del gruppo, sta oggi crescendo di importanza ma conta ancora appena per il 10% del fatturato complessivo.
Stiamo insomma parlando di un portfolio strutture di tutto rispetto (40 villaggi per i nostri standard sono tanti). Eppure le strategie Veraclub paiono davvero andare in una direzione opposta rispetto al resto del mondo dell’ospitalità. «La chiave è la nostra clientela. Che cerca soprattutto la qualità ed è diversa da quella che si trova su Internet», racconta il direttore commerciale, Massimo Broccoli. Però il mondo dell’hôtellerie, anche quello delle cosiddette destinazioni sun & beach, non è fatto unicamente di alberghi economy o midscale impegnati a competere a colpi di prezzi sul web. «È vero», ammette ancora Broccoli. «Tuttavia, la maggior parte delle catene parte da concept di hotel di città, applicati poi per estensione, con qualche minima modifica, anche alle proprie mete leisure. Mi viene per esempio in mente quando, qualche tempo fa, abbiamo rilevato la gestione di un ex Radisson Blu a Marsa Alam: lo staff era eccezionale, ma il suo approccio alla vendita era appunto da hotel di città, non adatto a un resort come quello egiziano. Quando si rivolgono a noi, le persone vogliono prima di tutto sapere quello che potranno fare nelle nostre strutture. Poi viene tutto il resto. Incluso il prezzo, che noi peraltro fissiamo basandoci su rigorose analisi dei trend degli anni precedenti». Anche in questo caso, insomma, un modo antico di fare revenue management… Supportato però da una grande attenzione verso l’esperienza. Perché almeno sotto quest’ultimo aspetto, il gruppo romano non sfugge affatto alle dinamiche correnti del mercato.
A consentire a Veratour di evitare le insidie della multi-canalità, «con il rischio di perdere il controllo dei prezzi» osserva sempre Broccoli, è anche l’elevata quota di repeater dell’operatore romano: il 38% degli ospiti sceglie infatti di tornare nei villaggi del gruppo entro i 12 mesi successivi al loro soggiorno precedente. Numeri importanti, che non si spiegano senza la presenza di un prodotto di qualità. E grazie alla propria reddittività costante, l’operatore capitolino ha sempre avuto a disposizione i capitali da investire su strutture e personale (la posizione finanziaria netta a fine 2016 era di 23,9 milioni di euro). Anche nei periodi più difficili, come appunto all’inizio della crisi tunisino-egiziana.
Ma il rapido riposizionamento dell’offerta Veratour è stato anche garantito dalla possibilità di siglare contratti della durata contenuta: tre-cinque anni al massimo. «Ai proprietari dei resort con cui collaboriamo noi diamo però sempre ampie garanzie economiche: le nostre partnership in management hanno in particolare tratti fortemente ibridi, tanto che preferiamo parlare di co-management, a cui si aggiungono anche importanti clausole vuoto per pieno. Non solo: in caso di ristrutturazione, noi contribuiamo spesso all’investimento», osserva il direttore commerciale
E per quanto riguarda il personale? «Nella maggior parte dei villaggi, inseriamo nostri general e resident manager, così come è nostro tutto lo staff dedicato all’assistenza degli ospiti, nonché alla cucina e all’animazione, per un totale di circa 800 risorse italiane sparse per il mondo. Solo così d’altronde possiamo garantire standard comuni in strutture che, essendo distribuite in destinazioni tanto diverse tra loro, sarebbero altrimenti impossibili da omologare». Il candidato ideale Veratour, conclude infine Broccoli, «è quindi una persona empatica, che ama stare insieme alla gente. Sembra banale, ma solo per la divisione entertainment noi conduciamo qualcosa come 4-5 mila selezioni all’anno. Contrariamente a quello che normalmente si pensa, l’animazione è un lavoro complesso e molto faticoso. Un tempo, inoltre, si trovavano parecchie persone disposte a fermarsi in posti lontani anche per cinque anni. Oggi, invece, molti vogliono andar via dopo appena due mesi. Come mai? Non lo so. Forse una volta si cercava l’esperienza interessante e la vita era un po’ meno comoda…». O forse, aggiungiamo noi, un giovane che tornava indietro dopo un lustro all’estero aveva la sicurezza di riciclarsi altrove. Oggi invece…

Storia e obiettivi del gruppo

Veratour nasce nel 1990 su iniziativa del fondatore Carlo Pompili, che fino ad allora aveva collaborato con una multinazionale spagnola del tour operating. Già dai primi anni di attività del gruppo, tuttavia, il segmento incoming si riduce fino a scomparire, e Veratour comincia a proporre viaggi e vacanze dapprima come tour operator generalista, e poi, dal 1994, con i prodotti villaggio del brand Veraclub. La seconda generazione della famiglia svolge oggi un ruolo importante in azienda: Stefano Pompili è infatti direttore generale, mentre suo fratello Daniele è general manager della divisione villaggi. Dopo i brillanti risultati conseguiti in 27 anni di ininterrotta reddittività, il gruppo punta oggi a una crescita media del 7%-10% annuo, con il fine di raggiungere i 230 milioni di euro nel 2019.

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