Disegnare uno spazio espositivo al contempo razionale e capace di coinvolgere i potenziali clienti in un percorso emozionale. È questo l’obiettivo di una disciplina relativamente nuova, che, nata da meno di una decina d’anni, sta però conquistando sempre più settori del commercio. A cominciare, naturalmente, da quelli tradizionalmente più sensibili e attenti alle innovazioni formali, come, per esempio, il comparto della moda. Stiamo parlando del visual merchandising, un ramo di marketing operativo che ha ormai assunto un’autonomia tale da aver permesso la nascita di una nuova figura professionale: il visual merchindiser è, infatti, colui che si occupa di applicare le migliori tecniche di vendita visiva, adattandole alla realtà spaziale di ogni punto vendita, grande o piccolo che sia. «Si tratta sostanzialmente di una disciplina che tende a costruire una presentazione attiva dei prodotti: un fattore che, in ambienti fortemente concorrenziali come quello della distribuzione in ambito turistico, può rivelarsi elemento distintivo e vincente dell’offerta», spiega Delphine Dumas, coordinatore del master Visual merchandiser dell’Istituto europeo di design di Milano. «La tecnica in questione parte così dall’analisi strategica dell’offerta e del target di un esercizio commerciale per arrivare a una definizione efficace degli spazi espositivi del punto vendita».
Ciascuna situazione viene, insomma, affrontata in maniera specifica, prendendo in considerazione peculiarità e caratteristiche proprie di ogni singolo negozio. «Esistono però anche delle regole generali valide in ogni occasione», prosegue Dumas. «Così, per esempio, è essenziale organizzare lo spazio in maniera razionale. E non solo per veicolare un determinato messaggio, che questo è già un passo successivo, ma anche per evitare di indurre nel cliente una fastidiosa sensazione di caos e confusione. Tutti elementi, quest’ultimi, che contribuiscono ad abbassare la percezione della qualità generale dell’offerta».
Una consapevolezza, quest’ultima, che secondo Dumas non sempre pare appartenere al mondo dell’intermediazione turistica: «Capita troppo spesso, in effetti, di entrare in agenzie di viaggio dove gli spazi sono poco organizzati, con una mole di cataloghi e offerte speciali davvero eccessiva e poco razionale: ambienti, cioè, in cui il cliente viene letteralmente inondato da informazioni e immagini accatastate in maniera apparentemente casuale: una straripante serie di stimoli che frequentemente riesce solo a confondere il potenziale acquirente. In questi casi, perciò, occorrerebbe diminuire la quantità dell’offerta esposta, magari creando delle rotazioni di prodotto. In questo modo, oltre a generare una maggiore sensazione di ordine e a favorire la chiarezza dell’informazione, si riuscirebbe anche a dare un’immagine di agenzia in costante movimento e sempre ricca di novità».
Tra gli elementi che concorrono alla definizione di uno spazio, possono poi essere sicuramente annoverati i colori, alla cura dei quali è dedicata molta parte della disciplina del visual merchandising. «Le tonalità, in particolare, dovrebbero essere accostate armonicamente tra loro», continua Dumas. «Da non sottovalutare, inoltre, è la valenza simbolica di ogni singolo colore, il cui significato è tra l’altro strettamente connesso alla cultura di ogni paese. È così, per esempio, che, in Europa occidentale e in Giappone, il bianco è generalmente collegato a eventi positivi come il matrimonio, mentre in India e in Cina assume significati antitetici, connessi con l’immagine della morte, del lutto e dei fantasmi».
Passando dall’interno all’esterno, infine, il visual merchandising si occupa anche dell’organizzazione delle vetrine. «La presentazione esterna di un punto vendita è il biglietto da visita di un negozio», aggiunge Dumas. «Inutile, perciò, sottolinearne l’importanza. Proprio per la sua rilevanza commerciale, così, in alcuni settori, tra cui soprattutto la moda, la vetrinistica ha raggiunto livelli paragonabili a quelli di una vera e propria disciplina artistica. A Milano, per esempio, il negozio di Larusmiani, situato in via Montenapoleone, nel cuore del golden triangle del capoluogo lombardo, presenta vetrine allestite come delle scenografie teatrali. Al contrario, il punto vendita Marni in via della Spiga ha optato per una soluzione minimalista, caratterizzata dalla presenza in strada del solo brand».
E passando dalla moda al comparto dell’intermediazione turistica? «In molte agenzie», prosegue Dumas, «c’è la pessima abitudine di esporre le proposte speciali su fogli stampati in formato a4. Il rischio, in questo caso, è di deprezzare il prodotto. L’obiettivo di una vetrina, infatti, non è tanto quello di fornire un’informazione esaustiva, ma quanto quello di colpire l’attenzione dei passanti, valorizzando l’immagine della merce o del servizio in vendita. Sarebbe forse meglio, allora, costruire gabbie formali in cui inserire un numero limitato di offerte da cambiare quotidianamente».
Un’applicazione più consapevole delle tecniche di visual merchandising nel comparto turistico potrebbe, in altre parole, rivelarsi una strategia particolarmente efficace. Se vendere viaggi significa, infatti, soddisfare i sogni delle persone», conclude Dumas, «il visual merchandising intende, altresì, trasformare il negozio in una sorta di teatro del desiderio: due concetti, in fondo, che appartengono allo stesso campo semantico».
Breve biografia di Delphine Dumas
Francese, laureata in economia aziendale con indirizzo marketing, Dumas ha maturato un’esperienza di 13 anni nel marketing e nella vendita in ambiti internazionali. Ha lavorato, in particolare, nei mercati della cosmesi e della moda, collaborando con brand come Beiersdorf, Nivea, Shiseido e Issey Miyake. Da 2 anni in Italia, sviluppa vari progetti in collaborazione con aziende dello stesso settore, tra cui Duglas, Lee, Givenchy, Marni e Armani Jeans. Coordina, infine, il master Visual merchandiser dell’Istituto europeo di design (Ied) di Milano.
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