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Cos’è importante per il turismo?

Di Antonio Caneva, 12 Aprile 2002

Si arriva a Ranco fiancheggiando il lago, provenienti da Angera. Improvvisamente la strada fa una curva a 90 gradi ed inizia a salire verso l’interno. Dove la strada gira, inizia un grande giardino pubblico in una specie di penisola, chiusa da un lato dal muro di un importante ristorante facente parte dei Relais et chateaux e tutto attorno dal lago. Il lago Maggiore in quella zona è abbastanza stretto e, nelle giornate di bel tempo, pare quasi che allungando le mani si possano toccare le montagne sulla riva opposta. Ranco è un paesino delizioso, a 60 chilometri da Milano, le casette sull’acqua sono piccole e non ostacolano la vista; dalla parte opposta della strada ci sono le ville, tradizionali abitazioni dei milanesi abbienti, con i parchi armoniosamente disordinati e gli alberi dai grandi fusti, in questa stagione stracolmi di fiori. E’ il luogo ideale per una passeggiata; vicino al giardino, appena iniziata la salita, fa bella mostra di se il ristorante Belvedere, una vecchia villa, il cui terrazzo è coperto di vite del Canada che ora sta germogliando; piccoli butti di un verde tenero che tra breve ombreggeranno i tavolini, da cui si gode una vista impagabile. La cucina è come uno se la aspetta in quella zona: ricca di riferimenti al posto, mai trasandata. Il giardino comunale è il luogo dove si fanno due passi, prima e dopo il pasto; per tanti anni è stato un angolo di verde dove alberi tipici della zona crescevano, anche in maniera scomposta ma con un preciso disegno della natura. Si respirava serenità guardando i massi posti a difesa del terrapieno dalle piccole onde che alzavano i rari motoscafi; quella è piuttosto una zona da barca a vela. Un grande salice, centenario, posto al centro era il riferimento delle mamme che pazienti seguivano i giochi dei figli. Un giorno, improvvisamente, in comune qualcuno deve aver deciso che una località turistica come Ranco non potesse avere un giardino così poco curato ed allora ecco i grandi lavori che hanno trasformato quello spazio verde, che aveva una propria identità, in un campionario di alberelli, arbusti e piante; ad ogni modo al centro rimaneva il salice; punto di congiunzione con la storia del paese. Sabato sono tornato a Ranco; la prima cosa che ho notato superando le sbarre che ora consentono l’accesso al giardino, è un semicerchio di pietra dove, posizionate tra sassolini bianchi, sono poste delle piantine a formare il nome Ranco, in un’orribile composizione che ricorda le cose peggiori degli anno 60 e poi ho avvertito un senso di vuoto: vedevo le palmette appena piantate, una striminzita rosa rampicante appoggiata ad una ringhiera, una incredibile varietà di piante e piantine senza alcun riferimento al luogo e.. non c’era più il salice, al posto una grande buca con un cartello indicante di fare attenzione perché l’area era stata trattata con fitofarmaci. Ho chiesto ad un passante come mai fosse stato abbattuto il grande albero e mi è stato risposto che era morto, probabilmente i lavori di copertura del giardino con i mattoni non aveva più permesso alla pianta di respirare. Di questi esempi, di questo malinteso senso di cosa sia turisticamente necessario, siamo testimoni quotidianamente; non ci si rende conto che, soprattutto in un Paese unico come il nostro, la vera ricchezza non consiste nello stravolgere in termini disneiani la realtà, ma di valorizzare quanto è nelle nostre mani. Il giardino di Ranco è una metafora sulla quale però, può valere la pena di riflettere.

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