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Come cambia l’arte dei cocktail

Di Carmine Lamorte, 10 Luglio 2009

Dopo aver affrontato il tema della cosiddetta molecular mixology con una serie di interviste ai principali esponenti italiani di questa disciplina, il barman Carmine Lamorte torna a scrivere sulle colonne del nostro giornale, analizzando i cambiamenti passati e futuri dell’arte del bere miscelato. Diamo così il via a una collaborazione che proseguirà anche nei prossimi numeri con altri articoli dedicati a notizie, approfondimenti e informazioni professionali di interesse comune a chi opera nel mondo del bartending. Chi tra i nostri lettori, in particolare, volesse rivolgere a Lamorte domande su argomenti del mondo del bere, può farlo scrivendo a redazione@jobintourismeditore.it. Le risposte più interessanti saranno pubblicate all’interno del nostro giornale.

Il mondo del bartending è prossimo a un nuovo grande cambiamento epocale. Un mutamento che, se non verrà compreso e gestito con intelligenza, rischierà di portare grandi sconvolgimenti nel settore del food and beverage. I campanelli d’allarme ci sono tutti e vanno ricercati sia nella difficoltà che stanno incontrando molti pubblici esercizi a proseguire la loro attività quotidiana, sia negli ostacoli che molti barman professionisti trovano a collocarsi con adeguate retribuzioni. Solo fondendo le energie e le competenze di tutti sarà perciò possibile far fronte a quello che ci attende, anche se solamente un mago sarebbe in grado di prevedere la direzione esatta del cambiamento. Quello che scorgo io all’orizzonte è però una mutazione profonda del ruolo del barman: che non potrà più solo essere uno specialista dell’arte dei cocktail, ma dovrà anche assumere altri ruoli. Come, per esempio, quello di ristoratore o di gestore di sale da gioco. Di certo c’è tuttavia almeno una cosa: la formazione dei professionisti dello shacker andrà assolutamente rinnovata, come peraltro è avvenuto già più volte in passato.
Personalmente, infatti, è dal 1972 che opero dietro a un banco. Avevo 12 anni e mezzo la prima volta che varcai la soglia di un bar per lavorarci. E ancora oggi sono dietro al bancone: fedele alla vocazione che mi folgorò allora. In questi 36 anni ho così visto molti cambiamenti. Io stesso ho mutato più volte il mio modo di essere e di propormi nel lavoro: esattamente sette volte, per una media di un cambiamento ogni quattro-cinque anni, che considero il tempo fisiologico di un’era lavorativa per un professionista del bartending. Perché, di tanto in tanto, è necessario fermarsi un attimo e guardarsi in giro: osservare cosa è mutato, come sono cambiate le aziende fornitrici delle materie prime, come si è evoluta la clientela e cosa questa necessita in termini di servizi; capire quali possano essere, infine, le esigenze latenti, di consumatori e imprenditori, e adeguare a esse la propria professionalità e il proprio modo di porsi.
Ma a quante e a quali trasformazioni abbiamo assistito nel mondo del bar nell’ultima quarantina d’anni? A molte. Ma due, in particolare, si sono rilevate particolarmente importanti e significative, perché hanno saputo cambiare radicalmente il nostro lavoro. La prima fu negli anni ’70, quando i barman dei grandi alberghi iniziarono ad andare a lavorare nei locali sulla strada o ad aprirne di loro, portando di fatto la moda del bere miscelato e di un certo tipo di servizio a un pubblico sensibilmente più vasto di prima. Il secondo grande cambiamento avvenne, invece, negli anni ’90, con l’avvento del flair bartending, che ha di fatto rivoluzionato il metodo di lavoro dei barman.
La prima rivoluzione, in particolare, si dimostrò molto positiva per tutto il comparto, permettendo una certa apertura ai barman che non operavano negli hotel, nonché verso le donne e verso un nuovo modo di bere e preparare drink. La seconda, invece, non ebbe la stessa sorte. Il flair bartending non venne compreso del tutto e il suo avvento venne percepito come una minaccia proprio da molti tra i principali fruitori del primo grande cambiamento, che cercarono di ostacolare e di combattere la novità per un certo numero di anni, creando non pochi squilibri e conflitti all’interno della categoria. Ma proprio la storia di questi cambiamenti dimostra l’importanza vitale, per chi opera nel campo del food and beverage, di aggiornarsi costantemente: per non rischiare, in altre parole, di rimaner tagliato fuori da opportunità di carriera o di guadagno.

Chi è Carmine Lamorte

Solidi studi alberghieri alle spalle, Lamorte vanta una lunga carriera iniziata nel lontano 1974, quando ancora frequentava la scuola professionale. Il suo percorso lavorativo lo ha condotto, in qualità di barman, di gestore o di chef de rang, in numerosi e prestigiosi locali, hotel e ristoranti in Italia, in Inghilterra, in Svizzera e in Germania. Dal 1977 è membro del centro per gli studi turistico alberghieri Hospes di Stresa e dal 1984 fa anche parte di Aibes, di cui è istruttore specializzato per i corsi di bar. È stato inoltre insegnante di terza area presso gli istituti alberghieri Carlo Porta di Milano (dal 2006 al 2008) ed Erminio Maggia di Stresa (dal 2007 al 2008), nonché docente di tecnica di sala bar tra il 2006 e il 2006 presso il medesimo istituto sul Lago Maggiore. Ha partecipato, infine, alla stesura del testo didattico per le scuole alberghiere «In sala e nel bar», edito da Mondadori educational. Attualmente è amministratore unico della società di consulenza Cl professional.

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