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“Climate quitters”: chi è e cosa cerca chi lascia il lavoro per l’ambiente

Il "climate quitting" è un altro degli aspetti della trasformazione in atto nel mondo del lavoro, interessa soprattutto i più giovani e ha a che fare con una ricerca di senso che le HR non dovrebbero più ignorare

Il "climate quitting" è un altro degli aspetti della trasformazione in atto nel mondo del lavoro, interessa

Di Job in Tourism, 29 Giugno 2023

Dopo “quite quitting” è “climate quitting” la nuova espressione usata per provare a descrivere cosa sta accadendo nel mondo del lavoro. Dalle complesse dinamiche che, in maniera pressoché trasversale a gran parte dei settori economici, lo stanno interessando emerge infatti una quota di lavoratori che si dice pronta a cambiare lavoro – o che lo ha già fatto – perché in disaccordo con le politiche di sostenibilità ambientale e sociale dell’azienda. O perché in difficoltà nel riconoscersi nei valori che l’azienda esprime con il proprio operato.

Un fenomeno in crescita

Anche se tra le cause per le quali le persone decidono sempre più frequentemente di lasciare il proprio lavoro (o sono intenzionate a farlo a breve) ci sono aspetti come la retribuzione e la maggior flessibilità organizzativa, c’è anche chi – soprattutto tra i più giovani – è mosso da questioni genericamente definite “climatiche”: una quota pari a circa il 6% di chi cambia lavoro in Italia, ha calcolato recentemente il Politecnico di Milano.

In generale, i fattori cosiddetti ESG (quelli, cioè, che hanno a che fare con ambiente, impatto sociale e modello di governance) sembrano influire sempre più sulle decisioni lavorative. Nel Regno Unito, per esempio, ha calcolato KPMG UK a inizio anno, quasi un giovane lavoratore su due (il 46%) desidera lavorare per un’azienda che sia impegnata su questi temi con un posizionamento chiaro e 1 su 5 (che diventa 1 su tre per i lavoratori entro i 24 anni) ha rifiutato un lavoro proprio a causa di questo disallineamento valoriale.

Climate quitters: una questione di senso

Sul profilo e le motivazioni che muovono i “climate quitters” molte sono le analisi (un quadro interessante lo ha dipinto recentemente l’articolo “Se danneggi l’ambiente mi licenzio” pubblicato da “l’Essenziale”). L’aspetto forse più interessante – che andrebbe preso in considerazione anche quando si discute di come rendere nuovamente attrattivo il settore dell’ospitalità e della ristorazione – è quello della ricerca di senso come nuova spinta verso il lavoro.

Se le persone sono pronte a lasciare – spesso senza neanche avere un piano B approntato – piuttosto che determinate a non lavorare più in determinati ambiti, se ambiscono sempre più a lavori che permettano loro di stare bene e vivere una vita equilibrata, di essere pagati il giusto e di avere tempo per i propri affetti e le proprie passioni o, ancora, che prediligano aziende realmente green e inclusive – come raccontano ormai tutte le ricerche in ambito HR – il motivo è sempre lo stesso: desiderano che ciò a cui dedicano gran parte della propria vita abbia senso. Un valore che oggi significa sempre più capacità di generare un impatto positivo – anche in termini ambientali – sulla vita propria e degli altri.

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