Job In Tourism > News > Green > Certificazione di sostenibilità: cosa fare e cosa no

Certificazione di sostenibilità: cosa fare e cosa no

Leva sempre più rilevante di marketing, ma anche strumento utile ad attrarre e trattenere personale, oltre che ospiti sensibili al tema, la certificazione di sostenibilità necessita di un approccio corretto: ecco cosa tenere presente e le azioni da evitare se si decide di intraprendere questo percorso

Leva sempre più rilevante di marketing, ma anche strumento utile ad attrarre e trattenere personale, oltre c

Di Job in Tourism, 10 Ottobre 2024

Sono sempre di più le strutture che scelgono di intraprendere un percorso di certificazione di sostenibilità: uno strumento che permette di dare forma e riconoscimento alle azioni adottate per ridurre gli impatti dell’attività ricettiva e favorire ricadute positive sul territorio nel quale si opera sia in termini ambientali che sociali. Un percorso che, con l’aumento della sensibilità collettiva verso il tema, rappresenta sempre più anche una potente leva di marketing nei confronti dei clienti e di attraction e retention del personale, oltre a favorire, per esempio, l’accesso al credito bancario e ad attirare il turismo business, che necessità di selezionare, anche tra gli alberghi, fornitori attenti.

Ma qual è l’approccio corretto e cosa è, invece, meglio evitare se si decide percorrere la strada della certificazione?

Prime regola: no alle autodichiarazioni

Fondamentale è, prima di tutto, “affidarsi a un ente terzo scegliendo in maniera accurata una certificazione che sia affidabile ed evitando di autocertificare il proprio impegno di sostenibilità”, spiega Paola Fagioli, esperta di certificazioni ambientali di Legambiente, membro del GSTC Italy Working Group, ovvero il gruppo italiano che agisce da facilitatore per la certificazione GSTC, tra le più autorevoli a livello internazionale.

Questo non solamente per aumentare la fiducia dell’ospite verso la dichiarazione di sostenibilità, ma anche in ragione delle nuove regole in arrivo con la Direttiva europea sui Green Claims. Un provvedimento, ancora in discussione, che nasce con l’obiettivo di tutelare i consumatori verso il greenwashing e far sì che le dichiarazioni di sostenibilità siano confrontabili tra tutti i Paesi dell’Unione. “Si tratta di una Direttiva – sottolinea Fagioli – che è destinata ad avere un impatto anche sulle strutture ricettive perché, una volta entrata in vigore, comporterà il fatto che sia obbligatoriamente un ente terzo a certificare l’impegno verso la sostenibilità. Anche a livello di comunicazione e marketing non si potrà più autoproclamarsi sostenibili”.

Fare rete

Un altro aspetto importante è fare rete: “La certificazione non deve essere intesa solamente come un elemento di competizione con le altre strutture ricettive, ma come un’opportunità per fare rete”. Un esempio? La collaborazione con altre strutture per contrattare con i fornitori prezzi migliori sull’acquisto di determinati prodotti e servizi green.

Coinvolgere i collaboratori

Perché la certificazione non rimanga solamente un pezzo di carta, è poi fondamentale coinvolgere nel processo di ottenimento, e poi successivamente nel lavoro di tutti i giorni, i collaboratori: “Che sia stagionale o meno, senza il supporto del personale e il suo coinvolgimento diretto rispetto a obiettivi e motivazioni non è possibile né ottenere la certificazione né tanto meno raggiungere gli obiettivi di sostenibilità che ci si è prefissati”.

Per quanto riguarda il team di lavoro, la certificazione ha poi un ulteriore risvolto: “In un momento di difficoltà di reperimento del personale – evidenzia Fagioli – permette di fare una serie di attività che coinvolgono i collaboratori facendoli ‘sentire a casa’ e rispondendo al bisogno sempre maggiore che le persone – in modo particolare i giovani – esprimono di lavorare in aziende che agiscono in maniera virtuosa dal punto di vista ambientale e sociale”.

Comments are closed

  • Categorie

  • Tag

Articoli Correlati