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Breve storia delle origini della nouvelle cuisine

Di Alessandro Circiello, 12 Marzo 2010

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Neppure i ghiottoni più temerari vorrebbero oggi vedersi offrire una cucina vintage a base di scaloppine immerse in debordanti intingoli burrosi. Oggi il nostro palato è cambiato. E gran parte del merito di questa evoluzione è da addebitarsi alla nouvelle cuisine, che, lungi dal rivelarsi una moda passeggera, ha dimostrato di essere stata una tappa importante, che ha saputo chiudere un’epoca e inaugurare, con solide fondamenta teoriche, nuovi trend enogastronomici impegnati nel rispettare i gusti e i sapori dei piatti territoriali. A partire da questi presupposti, il coordinatore dei giovani della Federazione italiana cuochi e dirigente Euro-Toques Italia, Alessandro Circiello, traccia una breve storia delle origini della nouvelle cuisine.

Un grande ruolo nella definizione di una nuova gastronomia e nell’affermazione di un nuovo status sociale per gli chef. È quello svolto dalla nouvelle cuisine: il movimento culinario, emerso in Francia nel 1973 per merito dei critici francesi Henri Gault e Christian Millau che, in una sorta di contaminazione intellettuale trasversale, molto condivise, nello spirito e nei modi, di altri filoni di pensiero transalpini sorti nelle decadi immediatamente successive al termine della Seconda guerra mondiale, come la Nouvelle critique litteraire e il Nouveau roman. Nata per impulso dei grandi chef che avevano abbandonato la tradizione per percorrere canali diversi, la nouvelle cuisine beneficiò, tra l’altro, del prezioso legame stabilito con la guida dei due critici francesi, la Guilt-Millau appunto, e con una nuova tipologia di clientela, costituita soprattutto dagli uomini di affari. La nuova tendenza riuscì in questo modo a influenzare non solo l’offerta dei grandi ristoranti ma anche la cucina delle case borghesi, che ben presto adottarono il suo tipico stile leggero.
Gli chef fautori della nouvelle cuisine, in particolare, condividevano tutti l’esigenza di eliminare la fase di allestimento del piatto, che comportava la realizzazione anticipata di salse e intingoli, da riscaldare poi al momento della preparazione della vivanda vera e propria. La nuova filosofia imponeva, infatti, la lavorazione dei prodotti appena acquistati al mercato, poche ore prima di servirli.
Le salse, inoltre, vennero decisamente alleggerite, sostituendo la base di farina con erbe aromatiche fresche, succhi di verdure, spezie e tisane, e si cominciarono ad adattare i menu in funzione dei prodotti disponibili di volta in volta al mercato. L’uso delle spezie, poi, fu fortemente limitato, in modo da far emergere il gusto vero delle materie prime utilizzate. Vennero inoltre introdotti nuovi utensili, come il mixer, la sorbettiera, le pentole antiaderenti e i forni a microonde. Grazie a una rinnovata attenzione nei confronti del pensiero dei dietologi si diffusero maggiormente la cottura al vapore, a bagno maria e al grill: tutte quelle tecniche, in parole povere, in grado di sfruttare le basse temperature per salvaguardare il gusto degli alimenti, nonché le vitamine e i sali minerali in essi contenuti. In linea con tali presupposti, anche le porzioni vennero snellite e il numero delle portate drasticamente ridotto, venendo così incontro a quelle che erano le esigenze emergenti della società dell’epoca, soprattutto da parte delle donne. Con l’obiettivo di stimolare ognuno dei cinque sensi, e in particolare la vista, la nouvelle cuisine privilegiò, infine, la presentazione e l’aspetto degli alimenti, eliminando l’inutile pesantezza delle guarniture tradizionali. Il tutto, senza togliere quella caratteristica costante della cucina francese che è sempre stata la qualità nella presentazione dei piatti.

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