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Brand alberghieri, troppi oppure no?

Un'analisi sulle dinamiche che hanno portato alla crescita esponenziale del numero del brand alberghieri sul mercato globale, tra opportunità e rischi

Un'analisi sulle dinamiche che hanno portato alla crescita esponenziale del numero del brand alberghieri sul

Di Job in Tourism, 30 Gennaio 2024

Più di mille brand alberghieri: sono troppi? Oppure no? Di fronte alla proliferazione decisamente importante, ancora lo scorso anno, dei marchi alberghieri in tutto il mondo, la domanda risulta lecita. Una risposta, con tanto di approfondita analisi, l’ha cercata qualche settimana fa il magazine Skift, riprendendo alcune osservazioni sul tema di Chekitan Dev, professore alla Cornell University. Ed ecco cosa è emerso.

A chi servono davvero i brand?

Il primo punto evidenziato è che i marchi servono, molto spesso, più ai proprietari e ai gruppi alberghieri che ai viaggiatori, perché permettono loro di ampliare la propria presenza su una destinazione in maniera capillare senza farsi concorrenza da soli e, al contempo, di distinguersi sul mercato. La strategia di differenziazione per marchi è utile anche ai proprietari delle strutture perché permette loro di controllare meglio i costi operativi. Senza considerare che più marchi, per un gruppo alberghiero, significa anche maggior visibilità nello “scaffale” online dei siti di booking e che creare ex novo un marchio è più facile sia della ristrutturazione di uno già esistente sia del mantenimento degli standard di qualità degli hotel già affiliati ad altri marchi.

Tante nicchie di mercato, tanti marchi

Un’osservazione interessante nell’analisi riportata da Skift riguarda, poi, la confusione che si creerebbe per il consumatore di fronte a decine di marchi alberghieri dei quali non si capisce la differenza tra gli uni e gli altri. Posto che la questione riguarda in misura minore un mercato come quello italiano, nel quale la penetrazione dei brand alberghieri è nettamente inferiore rispetto ad altre realtà internazionali, valgono le regole del marketing: se un cliente si è affezionato a un determinato brand e ha imparato a riconoscerlo perché in grado di rispondere alle proprie esigenze specifiche, significa che la strategia ha funzionato, anche se poi quel cliente non sa nulla di tutti gli altri brand esistenti sul mercato. Il punto di partenza è: i marchi esistono per rispondere a esigenze specifiche delle diverse nicchie di clientela – e individuarle e creare un concept adatto a sfruttarle non è un’operazione semplice.

Verso la concentrazione del mercato

A proposito ancora della penetrazione dei grandi gruppi alberghieri, Chekitan Dev ricorda come “il mondo ha circa 17 milioni di stanze e circa il 60% non è ancora stato ‘marchiato’ da gruppi regionali o globali”. La tendenza, tuttavia, è segnata: si va verso una concentrazione del mercato in grandi gruppi – e brand – in grado di garantire maggiori e più costanti flussi su scala globale, anche grazie ai programmi di loyalty. 

Le criticità del branding

Tra i problemi ai quali la moltiplicazione dei brand va incontro ce ne è uno di base, molto semplice, che riguarda il nome. A fronte di centinaia di marchi, trovarne uno che funzioni e che non sia già stato usato sul mercato, anche per prodotti diversi, non è facile. Passando dal nome al concept, il problema rimane: spesso non c’è molta differenza tra due hotel di marchi diversi, soprattutto se sono pensati per lo stesso target di clientela. La differenza, sul lungo periodo, la fa come sempre la qualità del prodotto.

Un’altra questione critica ha a che fare con i prezzi dal momento che i brand sempre meno riescono a incidere sulla determinazione delle tariffe, sempre più soggette, piuttosto, all’andamento dinamico che dipende dai trend locali della domanda e dell’offerta.

Aspetti che evidenziano come, al di là delle questioni di opportunità, il “branding” sia cosa delicata e complessa come dimostrano – evidenzia l’analisi – le difficoltà che spesso incontrano i grandi marchi del lusso non alberghieri quando decidono di entrare nel mercato dell’ospitalità.

Gli errori da non fare

In generale, gli errori nei quali è bene non incappare – e che possono portare alla “morte” del brand alberghiero – riguardano il rivolgersi a fette troppo ampie di mercato (i brand nascono, appunto, per le nicchie, e voler far tutto per tutti non funziona) e il non riuscire a trasmettere l’identità, prima che all’esterno, all’interno: se coloro che lavorano nell’hotel hanno percezioni diverse di quale sia il posizionamento, molto probabilmente c’è un problema.

Il modo per misurare la “salute” del brand rimane quello di confrontarne i principali KPI con un quelli di un diretto concorrente. Monitoraggio fondamentale – ha concluso Dev – perché “sta arrivando una scossa. Gli esperti di marketing dovrebbero valutare la salute dei propri portafogli. Dovrebbero assicurarsi che i propri marchi alberghieri sopravvivano una volta che il boom dei viaggi post-pandemia diminuirà e i viaggiatori torneranno a essere più esigenti“.

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