Ridefinire i modelli di crescita delle risorse umane. È questo uno degli obiettivi più pressanti dell’industria dell’ospitalità italiana, secondo il direttore generale divisione business hotel di Atahotels, Dennis Zambon: «Costruire percorsi efficaci di carriera interni a una singola struttura è impensabile nel nostro settore. I tempi di passaggio tra uno step professionale e l’altro sarebbero semplicemente troppo lunghi. E allora occorre organizzare il turnover: assumere neolaureati, formarli nell’arte dell’ospitalità, aiutarli a crescere e prepararsi a quando se ne andranno da qualche altra parte per proseguire lungo il loro percorso di carriera».
Un processo, quest’ultimo, necessario per riuscire ad attirare i veri talenti, che tuttavia può rivelarsi utile solo se si trovano persone dotate della necessaria motivazione. Attitudine e passione sono, infatti, le parole d’ordine condivise da tutti i presenti alla tavola rotonda del Tfp Summit 2010. «Ciò non significa, naturalmente, cercare figure immobilizzate in un’espressione forzata di perenne sorriso», racconta Sergio Gabrielli, direttore risorse umane dell’InterContinental de la Ville di Roma, «bensì persone che amino il proprio lavoro e siano in grado di comprendere l’importanza di far star bene e a proprio agio ogni ospite».
L’importanza della comunicazione (a tutti i livelli, tra management, impresa, dipendenti e ospiti) quale fattore chiave del successo di un’organizzazione è poi un altro dei punti di vista condivisi da tutti i presenti. Consente, infatti, di migliorare la propria reputazione: «Una variabile di rilevanza assoluta nel mondo attuale del web 2.0», spiega il general manager dell’Enterprise hotel di Milano, Damiano De Crescenzo. «Sia nei confronti degli ospiti, che alla rete ricorrono per conoscere i pareri degli internauti sulle strutture visitate, sia nei confronti dei collaboratori, in particolare di quelli futuri, che grazie a internet o anche al semplice passaparola si informano sempre di più sugli ambienti di lavoro e sulle opportunità di crescita».
Ma una buona comunicazione è fondamentale anche in termini di motivazione. «Bisogna far capire esattamente alle persone cosa ci si aspetti da loro», interviene il general manager dello Sheraton Malpensa, Gianrico Esposito. «Solo così si possono valorizzare adeguatamente le risorse e mantenere viva in loro la fiamma dell’entusiasmo per questo mestiere». Il tutto, però, avendo l’accortezza di utilizzare un linguaggio adeguato. «Ci vuole leadership», afferma, infatti, il general manager dell’hotel Excelsior e dell’hotel Des Bains di Venezia Lido, Leone Jannuzzi. «Altrimenti il rischio di essere considerati più dei boss che dei leader è reale. Con tutte le conseguenze negative che una tale impressione può generare nel proprio team. E per evitare tale evenienza, occorre prima di tutto dare il buon esempio: non scindere le parole dai fatti». Una questione di coerenza, insomma, come sostiene anche il managing director di Concerto Fine Italian hotels, Ivano Bencini: «Tutte le politiche del personale di ogni azienda hanno la stessa finalità: motivare e fidelizzare le risorse umane. Ma questo è un obiettivo che si può raggiungere unicamente se tutte le azioni intraprese in tale direzione, dai progetti formativi ai piani di valorizzazione e crescita, fino ai criteri preposti all’assegnazione di premi e incentivi, sono inseriti in una strategia dai tratti pienamente trasparenti e coerenti».
La capacità di agire sulla base di una vision e di progetti condivisi è, insomma, il segreto di Pulcinella di qualsiasi organizzazione vincente. «Per questo motivo», conclude il managing partner della società di consulenza Lang&partners, Roberto d’Incau, «non bisogna mai dimenticarsi che le aziende sono lo specchio delle persone di cui sono fatte. E le persone lavorano sì per i soldi ma anche per altri stimoli: meno razionali, magari, ma altrettanto importanti della consistenza dello stipendio. Per avere successo occorre, insomma, sapere parlare anche al cuore e alla pancia delle proprie risorse. Solo così si spiegano gli innumerevoli esempi di aziende con livelli di retention elevatissimi ma stipendi assolutamente nella media, se non addirittura più bassi».
Il futuro dell’hôtellerie
L’industria alberghiera italiana è pronta a riconvertirsi e a innovare per rispondere alle sfide del momento e a quelle del prossimo futuro? Una questione delicata, con molteplici risposte, nessuna delle quali, però, può essere considerata quella definitiva. «Dobbiamo imparare ad aprirci di più verso l’esterno», spiega, in particolare, Dennis Zambon. «Dobbiamo sforzarci di uscire dalla tradizionale autoreferenzialità del nostro comparto per confrontarci con gli altri settori. Prendiamo, per esempio, l’It. Noi continuiamo a considerarla una novità, ma in realtà negli hotel esiste dagli anni 80. Ormai quasi nessun professionista dell’ospitalità si ricorda i tempi in cui ogni conto, ogni registrazione si faceva a mano. Che l’informatizzazione costituisca ancora un problema è perciò una questione più di organizzazione, di capacità di pianificazione di progetti formativi adeguati, che di reali difficoltà legate alla novità».
Quel che è certo, però, è che la dirompente evoluzione tecnologica degli ultimi anni sta rivoluzionando i ruoli e le competenze. «Stiamo andando verso una precisa divisione delle mansioni: figure, come quelle di contatto, in cui l’attitudine è ormai più importante della singola competenza e ruoli più specialistici, come per esempio il revenue manager, dove invece è vero il contrario», aggiunge Ivano Bencini. «È probabile, perciò, che i processi di esternalizzazione non riguarderanno più, nel prossimo futuro, solo i comparti nel loro complesso ma anche alcune singole figure specialistiche. In questo modo i professionisti dell’hôtellerie potranno tornare a concentrarsi su quello che è il loro reale core business, ossia l’arte dell’ospitalità».
Adeguarsi alle nuove esigenze del mercato non significa, però, solo rimanere al passo della tecnologia più avanzata: vuol dire anche essere capaci di innovare nei servizi e nei prodotti. «E, per farlo, occorre essere capaci di ascoltare», interviene Damiano De Crescenzo. «Sia i propri collaboratori, sia i clienti. E poi cercare di sfruttare le proprie specificità. Una piccola struttura o una piccola compagnia alberghiera, per fare un esempio calzante alla maggior parte delle realtà ricettive italiane, hanno sicuramente meno risorse dei grandi gruppi internazionali. Ma hanno spesso strutture più agili, meno condizionate dalle procedure burocratiche delle società più grosse. La loro velocità di reazione è perciò molto più elevata: un fattore da sfruttare appieno se si vuole competere con successo nella sempre più grande arena del mercato globalizzato».
Tutti principi assolutamente condivisibili, «ma perché, quando penso a esperienze di hôtellerie innovative, mi vengono in mente solo casi stranieri?», si chiede provocatoriamente Roberto d’Incau in conclusione. «Non mi riferisco a realtà lontane ma ad alberghi come il trendy low cost The Oxtone di Londra. O come l’originale Lloyd hotel di Amsterdam, dove gli ospiti possono scegliere camere 3, 4 o 5 stelle, in un ambiente eterogeneo, frequentato da viaggiatori d’ogni genere, che spaziano dal businessman allo studente».
Comments are closed