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Armonie di conoscenza e creatività

La cucina secondo Heinz Beck: un percorso fatto di tanto studio, sensibilità  e fantasia

La cucina secondo Heinz Beck: un percorso fatto di tanto studio, sensibilità  e fantasia

Di Massimiliano Sarti, 14 Luglio 2016

«Sono arrivato qui 22 anni fa. L’Italia, per la verità, mi è sempre piaciuta. Ma è stato solo quando ho cominciato a viverla da vicino che è scoppiato il vero amore. E non solo in senso ideale: proprio qui ho infatti incontrato mia moglie. A Teresa devo molto, anche in senso professionale. Perché sono convinto che si possa dire di conoscere un paese nel profondo unicamente tramite gli affetti e l’esperienza diretta delle sue tradizioni familiari e della sua cultura». Ai fornelli, così come nella vita, rigore ed equilibrio sono le regole di Heinz Beck: il loro rispetto meticoloso, unito al talento e alla creatività sono le basi del suo lavoro. È perciò solo naturale che alle radici della sua cucina mediterranea, egli ponga un attento studio della cultura e della storia d’Italia: il paese che lo chef della Pergola di Roma (e non solo) ha scelto da tempo quale sua dimora d’elezione.

Domanda. Come è nata, in origine, la sua passione per la cucina?
Risposta. Ho sempre amato le opere artistiche. E io credo che la professione dello chef abbia molto a che fare con l’arte.

D. Quali allora le similitudini e le differenze tra la cucina e l’opera creativa?
R. Tutto ciò che ha a che vedere con il design si colloca più verso l’area artistica. Certo, il nostro è anche un lavoro manuale con una buona dose di artigianalità. Il confine tra le due attività però è sottile, difficile da determinare. L’inclinazione artistica, tuttavia, permea la maggior parte delle cose che realizziamo. Prenda per esempio i piatti da fotografare: si lavora con i colori, i volumi, le luci, l’armonia… Non diversamente da quanto si fa per una creazione su tela.

D. A proposito di armonie e confini: la sua cucina è un sapiente mix di tradizione e innovazione. Come trova ogni volta il giusto equilibrio tra creatività e basi storiche di un piatto?
R. Non esistono regole, altrimenti sarebbe tutto semplice. Ogni ricetta va analizzata, provata, testata. Alla base, tuttavia, c’è sempre un’ispirazione. E questa può arrivare in tanti modi diversi.

D. Un esempio?
R. Prima di creare il mio fiore di zucca fritto e aperto, nell’ormai lontano 1998, in carta alla Pergola avevamo una versione tradizionale della stessa ricetta. La sua preparazione, però, mi turbava al punto che a un certo punto decisi persino di toglierla dal menu: il piatto a volte era subito perfetto al primo assaggio, ma in altre occasioni avevamo bisogno di una ventina di prove prima di trovare la giusta maniera. Capitava spesso, per esempio, che il fiore di zucca non si riuscisse a chiudere perfettamente, cosicché l’olio di frittura rischiava di versarsi al suo interno. Insomma: non ero soddisfatto. Poi, una notte, l’idea nuova mi apparve in sogno: era la giusta intuizione in grado di liberarmi dal malessere. Ma naturalmente ci lavorammo sopra per sei mesi prima di riuscire ad affinare il piatto e a inserirlo nuovamente nel menu.

D. Uno dei suoi motti in cucina è «Less is more» (di meno è meglio, ndr). E c’è anche chi dice che quella italiana sia una cucina del levare. Come si trova spazio alla creatività in un contesto simile?
R. In realtà è proprio questo il segreto di ogni ricetta: un mix di conoscenza e creatività. Sono poi convinto che l’arte stia proprio nel togliere. Aggiungere significa tradire il piatto e le materie prime utilizzate per prepararlo. Certo, levare è la cosa più difficile: occorre realizzare qualcosa grazie alla quale i commensali non solo non si accorgono di ciò che è stato tolto, ma provano anche delle vere emozioni. E le sensazioni forti non mentono mai. E poi quando si toglie, non si può sbagliare. Bisogna essere semplicemente perfetti, perché non è possibile nascondere i difetti. Lei ha presente Picasso?

D. Di nuovo le affinità tra piatto e tela…
R. Proprio così. Lui in fondo è partito dalla pittura figurativa, proprio come io ho iniziato approcciando la cucina tradizionale. Poi ha cominciato a togliere progressivamente il superfluo e il ridondante, lavorando esclusivamente sull’essenza delle linee. Alla fine ha disegnato un toro con appena due tratti di corna, pur riuscendo a trasmettere la stessa sensazione di potenza e le medesime emozioni di un’opera figurativa classica. Questo è il togliere: un percorso di studio, sensibilità e creatività.

D. Come si diventa un tre volte stellato Michelin? Ed è davvero così importante per la propria realizzazione professionale?
R. Pure in questo caso non esiste una formula precisa. Però, certamente, le stelle sono importanti: rappresentano una gratificazione e un premio. Non solo per il proprio lavoro. Anche per quello del resto del team, che così ha un potente stimolo ad andare avanti. Va tenuto presente, inoltre, che la ristorazione di oggi non è fatta più esclusivamente per i clienti locali, ma sempre più per turisti desiderosi di provare le specialità della destinazione in cui si recano. Le stelle, da questo punto di vista, rappresentano una guida autorevole a cui affidarsi.

D. Anche al tempo di TripAdvisor?
R. Senz’altro. I portali di recensioni online sono altrettanto importanti, ma ognuno ha un proprio modo di trovare quello che sta cercando.

D. Una questione tradizionalmente complessa da gestire nei ristoranti è il rapporto sala-cucina: come lo concepisce lei alla Pergola?
R. È come nella vita: è una relazione tra uomini (e donne). E in quanto tale va gestita. Il rispetto reciproco, la fiducia e la stima sono fondamentali. Le scenate non servono a nulla. Occorre essere professionali e confrontarsi serenamente per appianare gli errori evitando discussioni. Il nostro è un lavoro che si affina solo con la pratica quotidiana. Da parte mia, io cerco di essere costantemente disponibile per qualsiasi chiarimento: la mia porta, in altre parole, è sempre aperta.

D. Un approccio meno gerarchico del solito all’organizzazione del lavoro, quindi…
R. La cucina, per la verità, non è certo un parlamento dove tutti possono dire ogni volta la loro. Esistono regole precise e gerarchie da rispettare. All’interno di tale contesto, tuttavia, la libertà, l’amore, la passione e il confronto non devono mai mancare.

D. E i rapporti con i general manager degli hotel che ospitano i suoi ristoranti, come sono?
R. Io sono alla Pergola ormai da più di 20 anni. In tutto questo tempo al Rome Cavalieri si sono alternati ben cinque direttori. Con ognuno di loro ho sempre avuto un rapporto fantastico. E così è anche negli altri alberghi in cui gestisco dei ristoranti. Certo, pure in questo caso si tratta di rapporti tra uomini. E può naturalmente capitare che due persone non vadano sempre d’accordo…

D. Solitamente nei ristoranti si usa classificare i piatti in base alle loro performance di vendita: una tradizionale matrice di origine anglosassone divide in particolare le ricette in stelle, cavalli da tiro, puzzle e cani (i piatti peggiori). Si fa ancora così? Persino nei ristoranti tre volte stellati Michelin?
R. In realtà, ogni ristorante ha il suo modo di valutare i piatti. Alla fine credo però che l’unico sistema valido sia la soddisfazione del cliente: una ricetta che non piace al pubblico non dovrebbe neppure entrare nel menu.

D. Eppure c’è chi sostiene che a volte i commensali vadano educati.
R. Un cliente deve essere messo a proprio agio e coccolato. Punto e basta.

D. Anche se chiede solo una pasta in bianco?
R. In realtà, è un piatto che a me piace moltissimo. L’importante è presentarlo con un Parmigiano Reggiano e un olio extravergine fantastici.

D. Cosa significa lavorare nel ristorante di un hotel? C’è differenza tra gli ospiti interni e quelli esterni?
R. Assolutamente no. Le regole sono le stesse: i clienti devono essere serviti alla perfezione e possibilmente convinti a tornare. Altrimenti non si sopravvive.

D. Lei gestisce numerosi locali oltre alla Pergola: come riesce a dare il suo tocco personale a ciascuno di loro?
R. Prima di tutto c’è la cucina mediterranea, che è la base irrinunciabile del mio modus operandi. Dopo vengono i sistemi di gestione: l’idea da cui partire, la scelta della squadra a cui affidarla, i modelli operativi da applicare. E poi tanta formazione e controllo della didattica. Tutto dipende da come si imposta inizialmente il lavoro

D. Anche quando ci si trova a un continente di distanza?
R. Oggi la tecnologia aiuta molto: nei miei ristoranti di Tokyo, per esempio, seguo le preparazioni in diretta streaming, grazie a telecamere che mi consentono di zoomare o di cambiare l’inclinazione dell’inquadratura. Senza però naturalmente dimenticare le mie trasferte programmate in loco, in modo da verificare dal vivo qualità e standard di ogni elemento e procedura.

Lo chef della Pergola
Maestro di cucina e amante dell’arte in ogni sua declinazione, Heinz Beck è alla guida de La Pergola del Rome Cavalieri dal 1994: ristorante che ha condotto dagli inizi fino alla conquista delle 3 stelle Michelin. Chef pluri-premiato, dal 1998 a oggi è vincitore del premio Five star diamond award e, nel 2013, ottiene anche il Six star diamond award, sempre erogato dall’American Academy of Hospitality Sciences: primo in Italia a ricevere tale riconoscimento.
Nel 2000 viene poi insignito della Medaglia d’oro del foyer degli artisti: premio internazionale dell’università La Sapienza di Roma, consegnato per la prima e unica volta in 40 anni a uno chef. Nel 2010 riceve anche il cavalierato dell’ordine al Merito, della Repubblica federale di Germania. Membro dell’Ordine dei cavalieri della cucina, in occasione dell’edizione 2014 di Identità Golose ottiene il titolo di Chef dell’anno e, per le stesse ragioni, il prestigioso Leone di Venezia alla carriera. A questi si affianca, sempre nel 2014, un nuovo, inedito riconoscimento, specchio del crescente interesse ai valori nutrizionali e ai benefici del cibo da parte di chi è nella ristorazione: il Gusto & salute, assegnato a chef Beck in occasione della presentazione della Guida Roma 2015 del Gambero Rosso.
La cucina di Beck, in tutti i suoi ristoranti, è eccellenza e innovazione nel rispetto delle tradizioni, della salute e del benessere: temi sui quali lavora da più di 15 anni e su cui ha costruito, in collaborazione con l’università Cattolica di Milano e il policlinico Gemelli di Roma, il progetto web Gemelli@Fornelli: quest’ultimo, insieme all’iniziativa Nutrinomics – #foodfuture, allo studio SafetyF?d, alla collaborazione con la facoltà di agraria dell’Università di Piacenza e ad altri progetti con la regione Lazio, sono state le sue proposte a Expo 2015.
Ma Beck è anche autore di diversi testi: l’Ingrediente Segreto, Arte e scienza del servizio, Heinz Beck, Vegetariano, Pasta by Heinz Beck, Finger Food, Ipertensione e Alimentazione, nonché Consigli e ricette per piccoli Gourmet. Quale consulente, segue con dedizione e passione diverse aziende, tra le quali la De Cecco per la linea sughi.
A oggi, i suoi ristoranti nel mondo oltre alla Pergola di Roma sono: il Café Les Paillotes di Pescara, l’Heinz Beck Seasons at ristorante Castello di Fighine in Toscana, il Gusto by Heinz Beck nell’Algarve, in Portogallo, il Social Heinz Beck, presso il Waldorf Astoria Dubai Palm Jumeirah, l’Heinz Beck e il Sensi by Heinz Beck a Tokyo, nonché l’ultima, recente inaugurazione di Taste of Italy by Heinz Beck a Dubai.

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