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Alla scoperta dell’Armagnac

Di Anna Goffi, 17 Febbraio 2006

Si è svolta presso il Grand Hotel et de Milan, storica struttura meneghina aperta dal 1863, una degustazione di Armagnac riservata ai giornalisti Asa (Associazione stampa agroalimentare). L’incontro, guidato dall’esperto Giorgio Colli, era organizzato in collaborazione con Sopexa, società che da anni promuove i prodotti agroalimentari francesi all’estero.
A fare gli onori di casa Laura Pettazzi, sales & marketing manager dell’albergo. «È un vero piacere per me – ha dichiarato Laura Pettazzi – aprire le porte a una delegazione di giornalisti proprio ora che, da poco tempo, grazie a un architetto italiano, abbiamo rinnovato questo tempio della milanesità con un restyling che ha interessato le parti comuni e la hall. Così, pur continuando a mantenere l’eleganza e la misura dello stile classico, l’hotel ha acquisito un tocco nuovo di leggerezza».
La struttura dispone di 95 camere e di una suite presidenziale, dove per 25 anni ha vissuto Giuseppe Verdi. Inoltre l’albergo mette a disposizione degli ospiti una piccola enoteca molto ben fornita; un american bar aperto dalle 10 di mattina all’una di notte per pranzare e cenare; il ristorante “Caruso” per la prima colazione e il pranzo; fuori dall’albergo, ma nelle vicinanze, c’è il ristorante “Don Carlos”, sempre di proprietà dell’hotel, famoso ritrovo per il dopo teatro. Qui vengono preparati con ingredienti solo italiani piatti tradizionali, rivisitati nella presentazione.
Per quanto riguarda la degustazione si sono presi in esame quattro differenti distillati, diversamente invecchiati. L’incontro ha permesso di fare un discorso più ampio sull’Armagnac che prima di tutto è una regione della Francia sud-occidentale i cui confini si inscrivono curiosamente nei contorni precisi di una foglia di vite. Dalla regione deriva il prodotto che è un distillato di vino prodotto nella zona a sud di Bordeaux.
Si potrebbe dire che l’Armagnac è il cugino nobile del Cognac, prodotto a nord di Bordeaux. Attualmente le vigne da cui si ricava ricoprono 28mila ettari di cui 15mila con vitigni per distillazione, e una produzione media annua di 50mila ettolitri di Armagnac. Il fatto che quest’ultimo sia superiore al Cognac non lo si deduce dal colore, perché nei due prodotti non si rilevano grandi differenze, ma lo si capisce dal sapore perché è più strutturato e ha più pienezza di gusti in bocca. Un detto popolare francese suona pressappoco così: «Il buon bevitore impara ad apprezzare il Cognac, ma poi finisce col bere l’Armagnac». Che sia una scelta per intenditori si deduce anche dalle vendite: ogni 6/7 bottiglie di Cognac vendute, se ne vende una d’Armagnac.
Il Cognac e l’Armagnac partono per lo più dallo stesso vitigno che è l’Ugni blanc, corrispondente al nostro Trebbiano. La diversità maggiore si riscontra nella fase della distillazione: il Cognac subisce un trattamento termico discontinuo in alambicco, mentre per l’Armagnac si utilizza un trattamento termico continuo, cosa che richiede vini di migliore qualità e un invecchiamento molto più lungo, in quanto il distillato è più ricco di sostanze che necessitano lunghi anni di affinamento.
Il grado di invecchiamento ne esalta la qualità e le designazioni sull’etichetta forniscono informazioni sull’età del distillato. “Tre stelle” equivale a oltre un anno; “V.o.” (Very old), “V.s.o.p.” (Very superior old pale), “Reserve” sta per oltre quattro anni; “Extra”, “Napoleon”, “X.o.” (Extra old) oltre cinque anni.
In Italia, a differenza che in Francia dove viene bevuto al pasto e si usa anche in cucina per saltare in padella il fegato d’oca, l’Armagnac si gusta dopo cena, come distillato da meditazione. L’ideale è servirlo in un bicchiere a ballon, leggermente chiuso, non grande, in modo da permettere di concentrare i profumi senza accentuare il ruolo dell’alcol.
Un grande distillato non deve bruciare in bocca, per questo il bicchiere non va agitato come si usa fare per un vino rosso, perché l’operazione esalterebbe l’uscita dell’alcol etilico, ma va semplicemente scaldato con le mani e bevuto a piccoli sorsi in modo da poter apprezzare appieno la complessità di sapori retronasali e gustativi che offrono piacevolezza e pienezza di gusti.

La ricetta

Millefoglie di cioccolato amaro profumato alla menta piperita
(Ricetta di Alfredo Russo, consulente per il ristorante “Don Carlos”, da accompagnare a un buon bicchiere di Armagnac)

Ingredienti base
Panna 170 gr, latte 50 gr, zucchero 30 gr, rossi d’uovo 2, cioccolato amaro 70% 100 gr, vaniglia, sale.
Pasta phillo, caramelle alla menta sbriciolate (fisherman), sciroppo.
Per lo sciroppo al cacao
Acqua 2,5 dl, cacao 100 gr, zucchero 120 gr, panna liquida 200 gr.
Per la gelatina di menta
Acqua, foglie di menta piperita fresca, gelatina, sciroppo.
Salsa vaniglia, frutta fresca di stagione, sorbetto menta.

Procedimento
Mescolare la panna, il latte, lo zucchero, le uova, la vaniglia e il sale e portare a cottura fino al raggiungimento di 86°, a quel punto aggiungere il cioccolato a pezzetti mescolando energicamente, quindi emulsionare il tutto in modo da rendere brillante ed elastico il composto.Tenere in frigo per diverse ore.
Stendere la pasta phillo e inumidire con lo sciroppo di zucchero, cospargere con le caramelle alla menta e fare cuocere in forno.
Per la gelatina di menta portare a bollore le foglie in acqua, scolare, raffreddare con ghiaccio in modo da preservare il colore e quindi emulsionare con poco sciroppo, aggiungere la gelatina e conservare in frigo.
Per lo sciroppo al cacao, mescolare e portare a bollore gli ingredienti sopra citati, passare al colino fine.
All’ultimo istante, montare il piatto intercalando la crema al cioccolato con le sfoglie croccanti, disporre lo sciroppo, la gelatina di menta, la frutta condita con una julienne di menta, una piccola pallina di sorbetto alla menta spolverizzato con poco cacao grattugiato fresco e lo sciroppo di cacao.

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