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Alla ricerca dell’equilibrio perduto

Le risorse umane alla sfida delle grandi dimissioni: i dati dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano

Le risorse umane alla sfida delle grandi dimissioni: i dati dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Po

Di Silvia De Bernardin, 31 Maggio 2022

E se, invece che il tempo delle “grandi dimissioni” fosse quello delle grandi scelte? Delle persone e, insieme a loro, delle imprese, delle leadership aziendali e di chi ogni giorno si occupa di risorse umane? È una prospettiva che va oltre i numeri e apre alla possibilità – epocale – determinata dalla pandemia di ricostruire un mercato del lavoro su nuovi presupposti, quella emersa dai risultati dell’annuale Ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano. Presentato nei giorni scorsi in occasione di un convegno dal titolo quanto mai significativo Riconquistare le persone ai tempi delle grandi dimissioni: alla ricerca dell’equilibrio perduto, lo studio ha evidenziato come quello innescato dalla pandemia sia “un cambiamento di senso profondo e culturale”, prima ancora che tecnologico, dal quale “non si tornerà più indietro”.
I numeri della great resignation che attraversa trasversalmente ogni settore economico a livello globale non fanno altro che certificare quelle che – ha spiegato il responsabile scientifico dell’Osservatorio, Mariano Corso – sono le domande profonde che le persone hanno iniziato a farsi sul proprio lavoro: “Con la pandemia sono cambiate le aspettative. Con la libertà interiore concessa dai mesi di lockdown, in molti hanno iniziato a intravedere come le routine lavorative fossero spesso un anestetico alla fatica e all’insoddisfazione. E hanno capito che quelle abitudini potevano non essere l’unico modo di stare al lavoro”. Riflessioni che si sono innestate su un sistema, come quello italiano, già segnato da profondi disequilibri: la bassa produttività, gli orari elevati a fronte dei bassi salari, le scarse competenze digitali, l’alta disoccupazione giovanile e di genere, lo skill mismatch e i meccanismi poco efficienti di transizione scuola-lavoro (problemi che il comparto dell’ospitalità e della ristorazione conosce bene).
Ed eccole, allora, emergere quelle “dimissioni di massa”, punta di un iceberg che affonda ben più in profondità la propria base di ghiaccio, difficile da scalfire. E i numeri di questo fenomeno, con il 44% delle organizzazioni aziendali che vede oggi diminuita la propria capacità di assumere i profili migliori, un turnover in aumento per il 73% di loro e la dichiarata intenzione di un lavoratore su due di voler cambiare lavoro a breve. Non più, come una volta, solo perché in cerca di uno stipendio migliore, ma perché spesso sul posto di lavoro non si sta bene: solo il 9% dei lavoratori intervistati per il report, per esempio, ha dichiarato di vivere bene la propria condizione lavorativa sul piano sia fisico che su quello psicologico e relazionale. L’83% la quota di coloro che hanno detto di avvertire una forma di malessere psicologico legato al lavoro; per il 47% la responsabilità è dei carichi e dei ritmi di lavoro, per il 29% della difficoltà di conciliazione con la vita personale, per il 25% delle prospettive future. Da qui, la fotografia scattata dagli analisti del Politecnico: oggi le persone al lavoro sono stanche, stressate e, anche quando non danno le dimissioni, poco ingaggiate ed “energiche”, oltre che non pienamente consapevoli delle proprie competenze e possibilità professionali.
Che cosa dovrebbero fare, dunque, le aziende per riuscire non solo a intercettare nuovamente i profili migliori ma anche per trattenerli? Prima di tutto – hanno concordato gli esperti HR italiani presenti al convegno – mettere a fuoco che è cambiato ciò a cui i candidati, soprattutto i più giovani, danno importanza quando cercano lavoro: più che la retribuzione, per esempio, sono interessanti a quali siano il profilo dell’azienda, la sua identità e i suoi valori, anche rispetto a temi come la sostenibilità e l’inclusione, quali le possibilità di formazione e crescita personale e professionale, e le opzioni – date ormai quasi per scontate – in fatto di flessibilità organizzativa e di orari, di autonomia e di work-life balance. Un cambiamento che richiede anche un nuovo approccio nelle modalità di gestione dei colloqui di lavoro che, anche sfruttando le potenzialità della tecnologia, dovrebbero essere impostati dando al candidato la possibilità di capire concretamente cosa andrà a fare una volta assunto. Tutti aspetti che – hanno ricordato gli esperti di risorse umane e recruiting – non possono essere più considerati secondari oggi, in un mercato del lavoro che offre moltissime possibilità e nel quale è chi cerca un’occupazione a “scegliere l’azienda” e non più viceversa.
Nuove sono, quindi, le parole chiave della talent attraction and retention delle aziende: formazione continua, benessere, sostenibilità, coinvolgimento, trasparenza, fiducia, responsabilità, autonomia. Con la tecnologia a fare da supporto a ognuno di questi aspetti, in una prospettiva “umanistica”, che rimetta la risorsa umana al centro del lavoro. Un esempio? Proprio quello della formazione, da intendersi sempre più personalizzata e autogestita in modo tale da rendere il collaboratore attore in prima persona del processo e del proprio percorso di crescita professionale.
In termini di politica delle risorse umane, tutto questo ha un nome: employer branding. La possibilità di attrarre e trattenere talenti delle aziende – di essere “scelte”, una volta e tutti i giorni dai propri collaboratori – passerà sempre più da qui: dalla capacità di mettere a fuoco distintamente la propria identità valoriale, farla interagire con gli obiettivi di business e comunicarla compiutamente all’esterno.

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