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Regolamentazione affitti brevi, a che punto siamo?

Mentre New York li limita fortemente, in Italia la Ministra del Turismo Santanchè ha presentato una nuova bozza di regolamentazione per gli affitti brevi: ecco cosa prevede e cosa ne pensano albergatori, property manager e sindaci

Mentre New York li limita fortemente, in Italia la Ministra del Turismo Santanchè ha presentato una nuova bo

Di Ludovica Mati, 21 Settembre 2023

È la questione che più sta tenendo banco, nelle ultime settimane, nel mondo dell’ospitalità: quella degli affitti brevi e della loro regolamentazione che – stando alle dichiarazioni di intenti – sembra essere ormai vicina. Ai primi di settembre, infatti, il Ministero del Turismo ha presentato una nuova bozza – riveduta e corretta rispetto alla prima versione dello scorso maggio – del disegno di legge con il quale il Governo punta a mettere paletti a un fenomeno che ha ormai travalicato i confini dell’ambito turistico impattando sui modelli sociali e organizzativi delle destinazioni, in particolar modo della grandi città. Non a caso, nel dibattito di questi giorni non si sono inseriti solamente albergatori, property manager e associazioni di categoria, ma anche i sindaci di città come Milano e Firenze che, in più occasioni negli ultimi mesi, si sono detti pronti a procedere anche da soli per arginare l’espansione del mercato degli affitti brevi.

Cosa prevede la bozza del disegno di legge Santanchè

Ma andiamo con ordine. Cosa prevede la nuova bozza del ddl firmato dalla Ministra Daniela Santanchè? Innanzitutto – ed è uno dei punti più contestati del provvedimento così per come è stato scritto finora – il vincolo di una durata minima del contratto di locazione per stanze e appartamenti privati non inferiore a due notti: una limitazione che punta a spostare i pernottamenti mordi-e-fuggi nelle città verso la più tradizionale ospitalità alberghiera. Nella bozza di primavera erano previste deroghe per le famiglie numerose che, però, sono state cancellate nella nuova versione così come è scomparso il riferimento all’applicazione della norma anche alle destinazioni a forte densità turistica: la regola del cosiddetto minimum stay varrebbe, al momento, solamente per i centri storici delle 14 città metropolitane.

Altro punto fondamentale ha a che fare con la fiscalità collegata al mercato degli affitti: questo tipo di regime sarà valido unicamente per chi affitta fino a due case, dalla terza in poi i proprietari diventano infatti “imprenditori” (nella versione precedente le case erano 4), con tutti gli adempimenti e gli obblighi del caso. Come già nella prima bozza, è prevista poi l’obbligatorietà di un codice identificativo nazionale per ogni immobile affittato. Infine, i proprietari dovranno assolvere gli obblighi relativi alla prevenzione degli incendi e all’installazione di dispositivi per la rilevazione del monossido di carbonio, come fanno gli alberghi.

Le reazioni

La bozza è stata presentata ai player del settore “al fine di formulare soluzioni efficaci ed efficienti che possano essere altamente condivise”, ha spiegato Santanchè. Una condivisione che, però, al momento ancora non c’è. Se, infatti, gli albergatori si dicono soddisfatti per il “passo avanti” compiuto – pur chiedendo alcune modifiche come l’innalzamento del minimum stay da 2 a 3 notti e l’obbligatorietà di presenza dell’host nell’appartamento – i property manager parlano di “occasione perduta” e contestano, punto su punto, tutti i vincoli previsti dal disegno di legge, accusato di favorire gli interessi degli albergatori.

Scontenti sono, al momento, anche i sindaci delle grandi città. L’assessore alla Casa del Comune di Milano, Pierfrancesco Maran, ha detto che con questo decreto, per la città, “non cambierà niente”. Il perché lo ha spiegato il sindaco di Firenze, Dario Nardella, che, pur rilevando i passi avanti compiuti con la proposta, ha ribadito la necessità di aggiungere altri punti. Innanzitutto, “il tetto massimo di giorni per alloggio e, soprattutto, la zonizzazione ossia poteri specifici ai Comuni per limitare tout court anche temporaneamente gli affitti turistici in determinate zone della città a particolare valore storico e con particolare concentrazione del fenomeno”. Di fatto, la strada che sta percorrendo proprio il Comune di Firenze, che ha al vaglio in Commissione Urbanistica una delibera che, se approvata, limiterà le autorizzazioni per nuovi affitti brevi nel centro città.

A essere diverso è, soprattutto, il punto di vista con il quale i sindaci guardano alla questione: nella bozza del ddl, infatti, viene indicata come finalità del provvedimento il “fornire una disciplina uniforme a livello nazionale nonché contrastare il fenomeno dell’abusivismo nel settore”. È stato eliminato, invece, l’altro obiettivo (che era indicato nella prima bozza), ovvero contrastare “il rischio di un turismo sovradimensionato rispetto alle potenzialità ricettive locali a salvaguardare la residenzialità dei centri storici e impedirne lo spopolamento”. Il punto – rilevano tuttavia i sindaci – non è solamente regolamentare per evitare forme di concorrenza sleale all’interno del comparto ricettivo, ma anche arginare un fenomeno che – proprio come dimostrano i casi di città come Firenze e Milano – sta mutando gli equilibri sociali dei centri cittadini, di fatto svuotandoli di residenti per far posto ai turisti e aumentando eccessivamente il costo degli affitti residenziali a lunga durata al punto da renderli inaccessibili.

Il “modello New York”

È per questo motivo che i primi cittadini guardano con molto interesse al “modello New York”, destinato a fare scuola se non altro per la rilevanza della destinazione. A inizio settembre, infatti, la città ha dato uno stretto giro di vite al mercato degli affitti brevi vietandolo, almeno nelle modalità conosciute fino ad ora. Secondo quanto previsto da un nuovo provvedimento, infatti, nella Grande Mela appartamenti e stanze non potranno più essere messi in affitto per periodi superiori ai 30 giorni e, anche per soggiorni di durata inferiore, la locazione potrà riguardare solamente case nelle quali l’host sia effettivamente residente e per non più di due ospiti. I proprietari dovranno poi registrarsi presso il competente ufficio cittadino, pena multe salate sia per gli host che per le piattaforme alle quali fanno riferimento (come nel caso di Airbnb), che avranno l’obbligo di verificare che gli host siano in regola.

“Il modello migliore e più efficace a mio avviso è quello di New York – ha spiegato Nardella – dove si riporta all’origine il concetto di sharing economy limitando i cosiddetti Airbnb solo con la presenza del proprietario nell’appartamento. A questo modello dovrebbe tendere il ddl se si vogliono effetti concreti nelle nostre città dove il caro-affitti e la perdita di identità culturale e sociale dei centri storici sono diventati un’emergenza”.

Rimane ora da capire che posizione definitiva prenderà il Governo e se e con quali tempistiche e modalità quella che è ancora una bozza non definitiva diventerà legge.

Per approfondire: I numeri degli affitti brevi

Gran parte del confronto sul tema degli affitti brevi passa anche dai numeri, che descrivono l’incidenza e la qualità del fenomeno. Ma quali sono questi numeri? Alcuni li ha diffusi recentemente Sociometrica nel suo rapporto La ricchezza dei Comuni turistici, il ranking dei Comuni stilato sulla base della creazione di valore aggiunto generato dal turismo e dall’offerta ricettiva in modo particolare. Negli ultimi dieci mesi, si legge nel report, a Roma da meno di 19mila “units” (ovvero case o stanze affittate per brevi periodi) si è passati a oltre 22mila; a Milano da 12mila a 17mila; a Napoli da 6mila a 8mila. In termini percentuali, la crescita è stata del 26,3% a Milano, del 23,9% a Napoli, del 15,4% a Firenze, del 15,3% a Torino e del 15% a Roma. L’incidenza degli affitti brevi sul giro d’affari turistico è, dunque, notevole ma ciò che evidenzia il rapporto è che “dal punto di vista economico, e da molti altri punti di vista, non è la stessa cosa l’impatto di una presenza alberghiera rispetto a una presenza che si registra (o non si registra) nell’affitto di una seconda casa o di una camera in un’abitazione residenziale”. La differenza riguarda, in primis, l’impatto sul piano dell’occupazione e su quello della crescita delle professionalità legate all’ospitalità che, nel caso degli affitti, “è minimo o del tutto assente”. Diverso è il punto di vista dell’AIGAB. L’Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi ricorda come, rispetto all’asset delle seconde case degli italiani non utilizzate (circa 9,5 milioni), quelle immesse nel circuito degli affitti brevi siano solo 640mila (l’1,5%). Di queste, circa 200mila sono gestite da aziende. Complessivamente, gli operatori professionali sono circa 30mila, con un indotto nel mondo del lavoro tra 120 e 150mila persone. E fa poi gli esempi di Milano e New York. Nel primo caso, le 17mila case online rappresentano solamente l’1,2% del totale della città. Incidenza che scende allo 0,5% nel caso della Grande Mela (43mila annunci su circa 7,8 milioni di case totali). Conclusione per i property manager? “Si tratta di dati che dimostrano in maniera evidente che la decisione di limitare gli affitti brevi è ingiustificata e risponde alla necessità di accontentare interessi particolari e non risponde a un allarme reale. A NYC come, purtroppo, a casa nostra”.

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