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A Vienna il cocktail si fa smart

La bar manager Arianna Fiorese racconta il concept Henri Lou del Palais Hansen Kempinski

La bar manager Arianna Fiorese racconta il concept Henri Lou del Palais Hansen Kempinski

Di Massimiliano Sarti, 11 Luglio 2013

Henri Lou era uno dei soprannomi di Lou Andrea-Salomé: scrittrice e psicanalista, amica di intellettuali del calibro di Nietzsche, Freud e Rilke, fu una delle intellettuali più vitali ed emancipate degli anni a cavallo tra il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo. Ma Henri Lou è anche il nome di uno dei due bar del nuovissimo Palais Hansen Kempinski di Vienna. E poiché, come dicevano alcuni filosofi passati, «Nomina sunt consequentia rerum», ossia i nomi rivelano l’essenza delle cose, il locale della struttura inaugurata a marzo 2013 è già uno spazio vitale, che mira a diventare un punto di riferimento allo stesso tempo informale ed elegante della città famosa per i propri caffè letterari. Ma sopratutto l’Henri Lou è gestito e diretto esclusivamente da donne. «L’idea su cui ho lavorato insieme al general manager del Palais Hansen, Hans Olbertz, non è stata solo quella di creare qualcosa di originale, capace di distinguersi dalle proposte dei competitor, ma anche di realizzare un vero e proprio nuovo concept bar, da poter magari poi diffondere in altre strutture Kempinski», spiega l’italianissima bar manager del locale, Arianna Fiorese, che con il suo fare sicuro e un entusiasmo contagioso pare davvero rappresentare la perfetta declinazione di Henry Lou dietro al bancone del bar.

Domanda. Al di là del contesto tutto femminile, quali sono quindi i punti forti della proposta del nuovo locale?
Risposta. Champagne e cocktail sono la nostra specialità. Delle bollicine francesi contiamo ben 64 etichette diverse, ma è sopratutto nell’arte della miscelazione che stiamo dando libero spazio a tutta la nostra creatività.
D. In che modo?
R. Stiamo provando a introdurre il concetto di stagionalità dell’offerta. Come nei ristoranti, in altre parole, vorremmo proporre quattro diversi menu nel corso dell’anno, con un’offerta adeguata alla reperibilità degli ingredienti. È così, per esempio, che in estate serviamo drink a base di ciliege, lamponi e fragole, mentre per l’autunno e l’inverno stiamo pensando, tra le altre cose, a un Mojito a base di vino rosso.
D. Quindi realizzate anche delle rivisitazioni dei classici?
R. Certamente, come il Mai Tai con il rabarbaro fresco e lo sciroppo di sambuco, oppure il Martini cocktail con il tè nero. L’idea, infatti, è anche quella di utilizzare i prodotti di cucina nei drink.
D. E come siete arrivati a tutto ciò?
R. Grazie alla mia precedente esperienza al MayDay bar dell’Hangar-7, presso la sede centrale svizzera della Red Bull: un vero e proprio laboratorio creativo, dove hanno sviluppato la filosofia dello smart food applicato ai drink.
D. Di che si tratta?
R. Lo chef del MayDay, Roland Trettl, ha collaborato a lungo con la celebre nutrizionista svizzera Marianne Botta, per creare una proposta al contempo gustosa e salutare.
D. Fin qui, niente di particolarmente nuovo…
R. Sì, se non fosse che l’idea è stata applicata a un bar e non a un ristorante. Nello smart food di Trettl le portate sono servite nei bicchieri. Ed è proprio da questa commistione di cibo e drink che è poi scattata la scintilla creativa per portare i prodotti della cucina nella miscelazione. In questo modo, inoltre, è possibile introdurre anche nel beverage delle linee smart: per esempio, in estate, si può pensare a degli smoothies con il basilico fresco o i lamponi.
D. E se un avventore volesse un classico, invece della sua rielaborazione creativa?
R. Nessun problema. Glielo si fa come Dio comanda. Io vengo dalla scuola Aibes (Associazione italiana barman e sostenitori) e Iba (International bartenders association). Le basi sono fondamentali. Senza di quelle non si va da nessuna parte. Tanto meno si può pensare di creare cose nuove
D. Come sta reagendo il pubblico al nuovo concept Henri Lou?
R. Benissimo, tanto che, a oggi, ben l’80% della nostra domanda è rappresentata dalla clientela esterna.
D. Il segreto?
R. Lavoriamo molto sugli eventi. E io, a volte, creo persino delle ricette a tema per gli organizzatori. Una volta, per esempio, in occasione di un meeting organizzato per una nota casa cosmetica elvetica, ho inventato un cocktail alle perle: un omaggio al simbolo della compagnia.
D. E la clientela viennese?
R. Ne abbiamo parecchia anche di quella.
D. In stile aperitivo milanese?
R. No, qui si mangia molto presto e manca completamente la cultura da happy hour. Nei bar si va piuttosto per l’after dinner. Il lavoro è diverso. E poi bisogna competere anche con i caffè, che a Vienna vanno per la maggiore.
D. Passando dal professionale al personale: come è nata la passione per il bartending?
R. Quasi per caso. Facevo l’università e, per arrotondare, mi sono trovata dietro a un bancone, dove ho scoperto un mondo affascinante.
D. Fino a diventare bar manager di un locale parte di un brand prestigioso come Kempinski…
R. Credo che assumersi la responsabilità della gestione di un bar sia oggi un passo necessario per chi voglia svolgere questa professione. Fare solo il barman, o la barwoman, purtroppo è diventato difficile: molti pensano addirittura che sia solo un hobby. Invece richiede impegno, tanto tempo e, appunto, passione.
D. Come si riesce, allora, a fare lo scatto necessario per diventare bar manager?
R. Con l’esperienza, la pazienza, la volontà e un briciolo di creatività.
D. Cosa avrebbe fatto, invece, se non avesse scelto questo mestiere?
R. Avrei cercato comunque qualcosa che mi facesse girare il mondo come il mio attuale impiego. Mi piace troppo.
D. Spostarsi continuamente; lavorare di notte: tutto ciò non le impone delle rinunce personali?
R. Sì certo. Ma è una passione e una scelta di vita. E poi, anche se difficile, non è impossibile pensare di mettere su famiglia, prima o poi. Basta trovare la persona giusta.
D. Quali sono i suoi traguardi futuri?
R. Continuare a lavorare in Kempinski e, possibilmente, contribuire all’apertura di nuove strutture: per un bar manager è il momento più bello da vivere, perché è come veder crescere un bambino.
D. E dopo? Cosa c’è?
R. Chissà? Magari, un giorno, la carica di general manager…

L´identikit dell´albergo

Ricavato da un palazzo del Diciannovesimo secolo realizzato da Theophil Edvard von Hansen, in occasione dell’Esposizione universale del 1873, il Palais Hansen Kempinski Vienna ha aperto i propri battenti a marzo 2013 e rappresenta il secondo indirizzo austriaco della compagnia alberghiera tedesca. Ristrutturato con l’obiettivo di conciliare passato e contemporaneità, il neoclassicismo della struttura con le tecnologie più avanzate, l’hotel è dotato di 152 camere e suite, di 17 appartamenti privati, due ristoranti, due bar, una cigar lounge e una ballroom, nonché di un fioraio, di un negozio di gastronomia e di un’area spa e fitness.

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