Facciamo un lavoro difficile. Questo è ciò che pensa una elevata percentuale di professionisti; unitamente peraltro all’affermazione di dirigenti e imprenditori di ogni settore produttivo, ognuno dei quali afferma con convinzione: «…Perché sa, il nostro settore è molto particolare». Tanto da indurre a chiederci quali saranno i settori comuni, normali, facili.
Le professioni sono complesse e sempre più articolate. Ma si consenta di dirlo, a viva e chiara voce, soprattutto a chi fa un lavoro che ha, come sostanza privilegiata, oggetto di indagine e materia prima, l’essere umano: quanto di più complesso e articolato la natura, e la storia dell’universo, abbia potuto produrre. Considerando le infinite modalità di comportamento e le illimitate combinazioni dei singoli aspetti di carattere, chi si dedica allo studio dell’uomo e dei processi cognitivi, nelle sue componenti consce e inconsce, è destinato a lunghi studi e a tanta pratica professionale, da mixare con auspicato buon senso, nonché a far tesoro come non mai dell’esperienza. E non sempre tutto ciò è sufficiente: la materia su cui lavoriamo è fluttuante, sfugge spesso alle classificazioni e riserva sorprese, quando non vere insidie, dietro al più improbabile degli angoli. Noi che ci occupiamo di risorse umane, e di risorse umane in azienda, e in aziende del settore alberghiero, che manco a dirlo è «molto particolare», ne sappiamo qualcosa.
Per cui riformulo l’affermazione di partenza: facciamo un lavoro difficile. E allora perché tanti pensano di saperlo fare, pur senza aver fatto studi specifici e aver operato istituzionalmente nell’area specifica? Mi spiego meglio: ogni giorno cerco personale per catene o alberghi privati. Alle sollecitazioni del mercato mediante azioni di recruiting, se cerco sales manager, rispondono sales manager; se ho bisogno di un direttore d’albergo, rispondono gli stessi; se recluto personale f&b, mi rispondono cuochi, maître, pasticceri… Se cerco figure hr, rispondono tutti: direttori commerciali, perché hanno gestito team di venditori; f&b manager, perché hanno controllato brigate o personale di sala; hotel manager, perché hanno avuto la responsabilità del personale di albergo. Si è erroneamente convinti che l’area risorse umane sia un mare magnum di specifiche competenze operative, annacquate da qualche pratica di senso comune: con le persone ci devi saper parlare e se usi il pugno di ferro, o il guanto di velluto, o questo stesso calzato sul presunto pugno di ferro, in qualche modo ne esci sempre fuori.
Sto semplificando in maniera estrema. Pur tuttavia le cose vanno dette a chiare lettere: che ognuno faccia il lavoro per cui ha studiato e lavorato; per cui si è impegnato. Entrare in contatto con le persone (che si tratti di candidati o committenti), incontrarle, stabilire un piano comune per la conversazione, disporsi allo scambio, essere propensi a concedere qualcosa di sé, utilizzare in maniera naturale le tecniche che consentono un clima di disponibilità e di ascolto attivo, evocare la fiducia e farsi narrare la propria storia professionale, indagare le motivazioni, gli obiettivi e le aspettative, cercare di intuire ciò che non viene detto ma passa nel non-verbale, sottoporre questo a verifica, sforzarsi di immaginare la persona che si ha di fronte nel contesto in cui andrebbe a inserirsi, ipotizzare un’empatia con l’azienda committente, lavorare sulle teste di chi offre quel lavoro e di chi lo cerca… Sono tutte azioni complesse, specifiche, articolate e difficili.
In un’altra vita farò la restauratrice, in questa mi sforzo di fare al meglio l’head hunter, lavoro per cui ho studiato e operato per tanti anni. Non l’ho detto io, l’ha detto Leonardo Sciascia: A ciascuno il suo.
A ciascuno il suo: lo dice Sciascia
Non basta il semplice senso comune per occuparsi con professionalità di risorse umane
Di Mary Rinaldi, 15 Gennaio 2015

Articoli Correlati
Comments are closed