«Esiste un cerimoniale da seguire: anche se cambiano i tempi, il principio del bon ton non può cambiare, è qualcosa che si deve avere dentro». Per il cavaliere della repubblica Mario Petrucci, nonché maestro del lavoro, gran maestro della ristorazione, vicepresidente nazionale e gran cancelliere dell’Associazione maître italiani ristoranti alberghi (Amira), questa è davvero una sacra legge dell’ospitalità, che è capace di spiegare e diffondere con grande garbo ed eleganza durante gli incontri organizzati per l’Amira, anche nell’ambito del percorso di Solidus.
«Vedo con piacere che alle mie conferenze assistono molti giovani, mi fanno domande, s’interessano, e questo significa che potremo tener vivo il bon ton anche se sta diventando piuttosto difficile: un po’ dipende dai datori di lavoro che diminuiscono il personale e quindi le cose si fanno meno bene, più in fretta… Anche se si tenta di modernizzarle, le regole del bon ton esisteranno sempre e saranno sempre un po’ rigide. Non a caso, questo tipo di cerimoniale viene seguito dalle famiglie nobili, dal clero e dai militari. Però tutte le regole hanno una ragione», prosegue Petrucci. «Quando una donna e un uomo entrano insieme in un ristorante, è lui a dover precedere, perché così ha modo con un’occhiata di valutare la situazione, capire quale sia il posto migliore e fare strada. E perché il posto principale a tavola guarda la porta? Ma perché questo permette di vedere per primo un eventuale problema».
La carriera di Petrucci, nato a Berlino nel 1943, è iniziata dal primo gradino: cameriere nel 1962 all’Hotel Rolex di Riccione, commis de rang nel 1967 al Grand Hotel de Paris di Monte Carlo, caporango lo stesso anno a bordo della Michelangelo; dal 1969 al ’90 c’è Sanremo, dove Petrucci lavora in alberghi e ristoranti amati dai personaggi del Festival, salendo di grado fino a ricoprire il ruolo di maître d’hotel e f&b manager al Grand Hotel et des Anglais, conquistando l’amicizia di persone importanti che nel ’91 lo chiamano al Jolly Hotel Milano Due Segrate come 1° maître. Tredici anni di esperienza al Jolly anche come formatore del personale di compagnia. «Sono partito giovanissimo da una pensione in Romagna, dove ho imparato la manualità. Volevo girare il mondo, quindi ho frequentato una scuola Enalc per procurarmi i titoli necessari, e poco dopo sono salito a bordo delle grandi navi. Ho imparato tre lingue, ho fatto esperienza e infine sono approdato a Monte Carlo, quindi a Sanremo e da lì al Jolly. Nel frattempo ho seguito numerosi master di specializzazione, e nel 1983 sono entrato nell’Amira come fiduciario. Nel ’95 sono stato nominato gran maestro della ristorazione, nel ’96 consigliere nazionale dell’associazione, poi vicepresidente e gran cancelliere. Ora mi piace molto trasmettere qualche segreto ai giovani».
A proposito di segreti, che cosa è veramente importante per un maître? E quali doti deve possedere?
«Deve avere tre qualità, anzi quattro: deve essere duttile, molto educato, conoscere le lingue e capire la psicologia del cliente. In più, direi che deve anche possedere una buona cultura generale e una discreta conoscenza del territorio. Deve vivere il lavoro come una missione perché non ha orari precisi, né feste comandate. Il maître è felice quando fa felici altre persone. In definitiva, l’importante per un maître è sapere di aver svolto un ottimo servizio».
Ogni regola ha una ragione
Di Floriana Lipparini, 7 Luglio 2006

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